
IL MIO ARARAT
di Sergio Scacchia (1958)
L'uomo, al contrario, è loquace ed è anche italiano.
Ha le tempie leggermente brizzolate, il colorito sano di chi passa evidentemente molte ore in ambiente, sorriso contagioso e insospettata capacità naturale di comunicare.
Vive non lontano da Tottea, ma nella bella stagione per molti giorni sperimenta una vita quasi nomade. Incredibilmente la pecora è ancora il centro della sua economia, dei suoi pensieri e del lavoro.
Un mondo anacronistico il suo.
Racconta degli aneddoti agro-pastorali, conditi da sussulti di umorismo.
Ricorda quando i pastori di sera transitavano in un paese.
C'era il rito dei pentolini: ogni famiglia, con il suo bel contenitore in mano, faceva il giro dei transumanti per chiedere un po' di ricotta, il siero da mangiare la sera o da miscelare al mattino con il latte.
Snocciola, addirittura, anche ricette come quella della "pezzata", piatto transumante che credevo si consumasse solo a Capracotta, nelle montagne del Molise, non lontano dalle vestigia di Pietrabbondante e delle antiche fonderie di Agnone.
Nel borgo molisano ancora lavora l'officina dei fratelli Marinelli, realizzatori delle campane nella basilica di San Pietro a Roma.
La pecora è bollita con erbe aromatiche dei prati alti, profumandola e servendola con zuppa di pane raffermo.
Il pastore schiocca le labbra a far capire la bontà del piatto, apre, poi, la sua povera bisaccia che ha visto giorni migliori ed estrae, con aria soddisfatta, ciuffi di orapi, sorta di spinaci selvatici d'altura e sentenzia che con quelli, la pezzata diventa un lusso!
Chissà perché quest'uomo d'altri tempi che non ha lasciato neanche il suo nome, appare affascinante nel suo puzzo di sudore e formaggio andato a male.
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S. Scacchia, Il mio Ararat. Un fantastico trekking tra Laga e Gran Sasso alla ricerca di se stessi, La Cassandra, Pineto 2011.