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I minatori di Bianca Santilli


B. Santilli, "Minatori", 1965, olio su tela.

Estremamente difficile è oggi dimostrare capacità creative ed interpretative in un artista, specialmente nel contesto di una società come la nostra, sempre più predisposta alla pianificazione delle menti. È pressoché impossibile riuscire ad esprimere qualcosa di diverso senza cadere negli artigli della moda corrente, ben manipolata da grossi interessi economici. Mi risulta, inoltre, oltremodo difficile riuscire a leggere ed interpretare i fenomeni umani senza essere condizionato da pregiudizi consumistici.

Bianca Santilli è tra le espressioni più elevate della cultura molisana per la eccezionalità e la vivacità della sua creatività che nelle opere di pittura trova uno spazio ed una dimensione di grande interesse, per l'acutezza del suo ingegno e del suo spirito di osservazione. Un numero incredibile di opere in una produzione inarrestabile e travolgente fanno di Bianca Santilli uno dei pilastri della cultura artistica molisana del nostro secolo, recependo le istanze di un mondo incerto e travagliato nel passaggio da una società patriarcale e contadina ancorata ad ataviche tradizioni ad una società trascinata in una prospettiva di violente contraddizioni.

Inevitabile, per chi vuole capirla, è il collegamento ad altre espressioni artistiche molisane. Valga come esempio Francesco Jovine che nella sua letteratura spesso adopera un linguaggio ed una forma espressiva che ritroviamo nel linguaggio di Bianca Santilli. Sono due modi di esprimersi diversi che sostanzialmente trovano comunanza di linguaggio e di finalità nella identica capacita di interpretare, fino alla esaltazione, l'umile realtà del proprio popolo: «il solicello di novembre faceva fumigare blandamente la terra. Gli uomini spargevano il seme stringendolo alle sacche annodate alla cintola, le donne sarchiavano con minuto, rapido zappettio per seppellire i chicchi».

Personalità complessa ma mai contraddittoria è quella che Bianca Santilli presenta a chi la conosce da vicino, con i suoi mutevoli atteggiamenti esteriori, negli alti e bassi tipici delle personalità emotive e particolarmente sensibili.

Ma, se tale affermazione può caratterizzarla nel suo essere donna, certamente non è sufficiente per chiarire la sua espressione artistica che, certamente condizionata dal suo modo di vivere, trascende i suoi problemi esistenziali per raccogliere il senso universale della condizione umana. La sua pittura è, sotto certi aspetti, un'accusa spietata a tutta la società moderna che fonda il suo benessere sulla necessità di esistenza di classi che eternamente sono state sfruttate nella storia dell'umanità.

Accusa che ha il diritto e il dovere di fare quando trasporta se stessa nel fatto narrativo mitizzando e puntualizzando situazioni umane in cui lei è presente nei caratteri somatici dei personaggi che non a caso prendono somiglianza, molto spesso, dalla sua figura fisica. Non vi è una sola opera che non abbia il potere magico di attrarti e farti riflettere. Non vi è una sola opera ove gli sguardi silenziosi dei suoi personaggi non facciano esplodere i timpani di chi ne rimane impossessato. Non vi è una sola opera che non sia un urlo disperato, congelato dietro immagini rassegnate.

Non vi è un solo brano di retorica nell'elaborare situazioni obiettive e reali, dove non appare niente di allucinante, ma tutto vivo come la vita di tutti i giorni nascosta dietro il muro di un orfanotrofio, nelle viscere della terra, in una cipolla su un tavolo, nel quotidiano lavoro degli autentici proletari. Un senso di vertigine non provocato da giochi geometrici astratti o assurdi spruzzi di colore. La sua pittura si compone come architettura in cui ogni elemento è indispensabile, costituendo di per sé un capolavoro isolato e che comunque condiziona tutto il resto. Non ha bisogno di decidere quale sarà il soggetto della tela o della grafica: le basta disegnare una mano o un occhio e necessariamente tutta l'opera viene fuori da sola, perché quella mano e quell'occhio potranno essere il particolare di una sola opera irripetibile.

Fa distinguere la sua arte un'enorme capacita di produzione con opere a getto continuo nei ritagli che le lasciano i problemi familiari, con le corse dall'acqua che bolle in cucina alle cacche del figlio più piccolo. Una produzione che si sviluppa senza una sola pausa motoria, senza riflessione nel momento compositivo dell'opera. Per questo grande è la sua arte. Nel saper riflettere fuori dell'atto creativo, nel saper riflettere nella sua vita quotidiana, nell'ansia continua, mozzafiato, di non fare in tempo a prendere il treno per il suo luogo di lavoro o nella preoccupazione ossessiva che i figli si facciano male. E tutta la sua vita è un turbinio di urli esagerati, di espressioni gestuali quando racconta un fatto, di felicità commossa per la gioia di un amico o di un parente. Bianca Santilli è nata a S. Pietro Avellana, è maturata culturalmente a contatto con gli operai della fornace di mattoni di suo padre negli anni dolorosi della ricostruzione post-bellica. È maturata a contatto con i pastori transumati sul tratturo che le passava davanti casa; è maturata con la genialità espressiva e gioiosa dei capracottesi, nella quiete degli immensi boschi di Montedimezzo.

Il Liceo artistico e l'Accademia le hanno dato la capacità tecnica di esprimere il suo mondo, la sua gente.

Un mondo fatto di silenzi profondi. La donna molisana, cui l'emigrazione ha tolto il marito, sbattuto, attirato da un improbabile benessere, in Germania o in Svizzera. La donna molisana con il suo eterno vestito nero.

Mai discorsi banali affiorano dalla sua narrazione e nulla è affidato al gusto formale. Tutto è essenziale. Tutto l'inutile evitato. Mai elaborazione formale fine a se stessa. Tutto estremamente pregnante e carico di contenuti.

I suoi minatori sono qualcosa di straordinario. Una capacità espressiva di un realismo graffiante in quei volti resi inespressivi dalla rassegnazione. Volti di gente su cui pesano non poche responsabilità di una società ingiusta. I volti delle mogli dei minatori che aspettano il ritorno dei proprio mariti, immobili dietro Ia sbarra del montacarichi, certamente rappresentano l'opera che meglio esprime il pensiero logico di Bianca Santilli. È una narrazione che supera il fatto formale e cromatico. Anzi questo è solo la molla che fa scattare un meccanismo in chi osserva e che fa immaginare tutto un mondo che, sebbene non appaia fisicamente nelle immagini, traspare in forma evidente nei volti delle donne. Volti carichi di umanità, resi birilli anonimi da una società che li gioca a suo piacimento.

Nella figurazione l'elemento determinante, la struttura portante, è l'esaltazione della vita nei suoi aspetti più belli come ansia della pittrice ed è anche un invito agli sfruttati a ribellarsi.


B. Santilli, "Minatori", 1965, olio su tela.

Perciò assume significato trascinante il volto del minatore baciato da una figura femminile. Il volto del minatore che si sposta dal centro che sembra incredulo di fronte alla possibilità di una libertà e alla prospettiva di un mutamento definitivo dalla sua realtà quotidiana.

Una paura del fatto sempre aspettato. Incredulità per l'annullamento di un'acquiescenza passiva. Non si può isolare il suo linguaggio dalla tradizione radicata del mondo molisano ove ogni azione gestuale della sua gente riflette secoli di storia subita, di storia imposta, di storia inventata per il tornaconto di politiche autoritarie. Lo stesso vale per il minatore baciato dal figlio. La rabbia dell'uomo costretto a separarsi dalla sua unità. Il bacio del figlio, la bocca predisposta ad un urlo congelato di rabbia, la figura della sua donna che si sviluppa dal suo cervello, creano necessariamente l'immagine immediata che rende in un attimo la storia di una vita, la crudeltà di una esistenza.

In questi ultimi tempi Bianca Santilli si è particolarmente dedicata alla grafica. È una scelta che le deriva dalla necessità di far scivolare le immagini con maggiore velocità dalle sue mani, dalla volontà di cristallizzare con immediatezza i pensieri che si sviluppano nella sua mente. Allora acquistano maggiore vigore le immagini colorate e vorticose dell'ultima produzione, quando la voce diventa sostanza.

Ancora Jovine mi sembra utile per capire alcuni aspetti del linguaggio di Bianca Santilli: «Se mio padre quando andava in campagna tardava più del solito a rincasare, lei si affacciava al balcone che guardava il cimitero e lanciava i suoi gridi di richiamo nella valle, tra le tenebre fitte. La voce di timbro acutissimo aveva come uno strascico di pianto sull’ultima vocale e chiamava in uno sperduto viottolo tra le siepi di lentisco perché qualcuno doveva averlo assassinato».

Oggi Bianca Santilli vive a Sulmona. Ciò che preoccupa chi ha piena fiducia nelle sue capacità è il successo sempre crescente della sua pittura. Ma il senso critico e la sua radicata spontaneità le permettono di riuscire ad estraniarsi da certi meccanismi consumistici. Del resto l'azione critica e culturalmente progressista di Gianni Pardi, suo marito, sono un pungolo continuo ad operare in questo senso per la sua maturata esperienza di fine ceramista e per la venerazione per il mondo poetico della compagna della sua vita.


Franco Valente

 

Fonte: F. Valente, Artisti molisani in copertina: Bianca Santilli, in AA.VV., Almanacco del Molise 1977, Nocera, Campobasso 1977.

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