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Un amico di casa


Ritratto di gruppo in Val Brembana nel 1910 (foto: E. Goglio).

Cesare Bianchetti, guardia-marina, è ritornato da poco a C..., suo paese natio della Valle Brembana, reduce dalla Cina, e precisamente da Tientsin, dov'è rimasto due anni.

Nel frattempo, un grande cambiamento è avvenuto nella sua famiglia. Partendo egli aveva lasciato il proprio padre, il sig. Giacomo, vedovo da molti anni e solo, dappoiché Ida, la minore sorella di lui, fosse in educandato. Dopo un anno, dacché durava la sua assenza, costei gli aveva scritto che, compiuti i proprii studi e restituita alla casa paterna, aveva trovato occupato il posto della rimpianta loro madre da una signora, della quale faceva i più caldi elogi: il loro padre, cioè, s'era riammogliato.

Oh, bella! E come succedeva che il signor Giacomo non gli avesse mai annunciato un tale suo secondo matrimonio?

Cesare è ritornato però tutto vibrante di curiosità: una matrigna, la sorella uscita di collegio... E poi c'era dell'altro. In un'ultima sua lettera, Ida gli aveva confessato d'amoreggiare con Roberto Arienzi, il figliuolo del farmacista di B..., del quale era già fidanzata. Roberto era stato suo compagno d'infanzia e di scuola ed era pur sempre uno de' suoi più cari amici: una gioia, dunque, divenirne cognato.

Il padre l'accolse paternamente, ma un po' burbero e impacciato; la sorella, con la più viva espansione, ma non senza un lieve velo di tristezza. Insieme gli presentarono Ersilia, la matrigna, una bella e gentile signora sulla trentacinquina, che gli fece un'ottima impressione. Ma le presentazioni non finirono lì: vi fu pure quella di certo Onofrio D'Orazio, un pezzaccio d'uomo tra i quaranta e i cinquanta, dai capelli rossi, la fronte depressa, gli occhi grigi, il naso rincagnato, la bocca enorme, che il signor Giacomo disse essere: un amico di casa, venuto a passare qualche po' di tempo in campagna.

Cesare non vi ci sapeva troppo raccapezzare. Un amico di casa? Ma s'era abruzzese, abruzzese di Capracotta, mentre il signor Giacomo, salvo un po' di quell'università a Bologna, non s'era mai più mosso dalla bergamasca, se non per dare qualche scappata a Milano, od a Brescia! Com'erano tanto amici?

Interrogata a parte Ida, ella gli disse che quel tale era capitato a C... tre o quattro mesi prima e, dopo un lungo colloquio avuto in segreto col babbo, s'era piantato in casa, trinciandola da padrone, sicché non si andava più a tavola, senza che Marta, la cuciniera, avesse ricevuto da lui gli ordini del pranzo e la cena e Lorenzo il giardiniere quelli per le provviste che andava a fare ogni secondo giorno a Zogno.

Il giovine guardia-marina storse alquanto la bocca. Si provò a richiederne il padre, ma questi gli rispose secco ch'egli s'era stretto in grande intimità col D'Orazio, sino da quando si trovavano insieme agli studi a Bologna, dove il costui padre occupava un posto nella magistratura.

Non ci fu mezzo di saperne di più.

 

Cesare, distraendosi da quell'intruso, volle sollevare il velo di tristezza, che non aveva mancato di notare nella propria sorella. Sulle prime, ella si schernì alquanto, ma poi, incalzata, finì per confessargli ch'era impensierita assai pel contegno del proprio fidanzato, il quale, mentre le nozze erano già state fissate appunto per quel torno, adesso cercava pretesti per rimandarle alle calende greche, adducendo di avere una zia paterna, dalla quale, inoltre, doveva ereditare, gravemente ammalata.

– Capirai – conchiudeva la giovinetta – che se tanto ammalata veramente ella fosse, il motivo legittimo per indugiare ci potrebbe essere ma il peggio si è che lo stesso dottor Stefanini, il medico condotto di B..., mi ha assicurato che quella zia, invece, non ha che un po' d'asma, malattia cronica di cuore, che potrà permetterle di campare anche l'età di Matusalem. Si tratta, dunque, di un pretesto.

Il giovine ufficiale, usato ad affrontare risolutamente i pericoli, nella sua duplice qualità di marinaio e di soldato, volendo uscire, a quel proposito, d'ogni incertezza, fece una passeggiata sino a B..., onde rivedere l'antico condiscepolo ed amico Roberto Arienzi.

Si abbracciarono, si baciarono, si scambiarono le solite botte e risposte; quindi egli abbordò subito il dilicato argomento. Anche il figliuolo del farmacista, più ancora, forse, di Ida, stette sul tirato e non volle sbottonarsi. Ma quello lo investì talmente e sì lo strinse, massime con l'argomento che l'addotta malattia della zia non sussisteva, che, alla perfine, egli pure dovette capitolare la resa. Ebbene, sì, lo diceva col più vivo rammarico e sotto suggello del più assoluto segreto, comunque egli amasse teneramente Ida, esitava a sposarla a cagione della matrigna. Perché? Perché c'erano tutte le ragioni per ritenere che costei ingannasse e tradisse perfidamente il marito, avendo spinto la impudenza sino al punto d'introdurgli in casa, come amico ed ospite, il proprio ganzo.

Cesare cascò dalle nuvole. Ma come si aveva una tale presunzione? Era più che presunzione certezza, poiché, già più d'una volta, l'Ersilia fosse stata sorpresa fuori di casa, nei pressi della abitazione maritale, dietro siepi e cespugli, in intimo colloquio col nominato Onofrio D'Orazio, il quale le parlava con la massima confidenza, le cingeva col braccio la vita e le dava del tu.

– Ma chi l'ha vista? Chi l'ha udita? – chiese l'ufficiale.

– Più d'uno – gli rispose Roberto – ma, se vuoi saperla, io stesso.

 

Rincasato, Cesare, che aveva il cuore gonfio di amarezza e non istava più alle mosse, prese il padre a quattr'occhi, ritornando sull'argomento di quel famoso amico di casa.

Il signor Giacomo ripeté la storiella degli studi fatti insieme a Bologna. Ma, da quegli studi all'oggi, tant'acqua era corsa sotto i ponti del Brembo che mal si poteva comprendere come una semplice ed antica amicizia di condiscepoli universitari avesse potuto resistere a tanta ruggine di tempo. Vedendosi come chiuso dentro un cerchio di fuoco, il signor Giacomo, alla maniera di tutti i deboli, non seppe altro rotto della cuffia se non quello di montare in collera. Ma il figliuolo gli amministrò subito una doccia fredda, chiedendogli senz'altro:

– E come succede che anche la signora Ersilia, tua moglie, che è toscana, lo conosca pure tanto intimamente?

– Come... intimamente? – esclamò Giacomo sconcertato – Cosa vuoi tu dire?

– Egli le dà persino del tu.

Il padre girò gli occhi torno torno, come cercasse un punto sul quale fissargli; non sapeva che rispondere; era impacciatissimo; ma cosa strana, non dava segno di alcun risentimento.

Stupito ed, insieme, irritato da un simile contegno:

– Ebbene – uscì a dire il giovine ufficiale – sappi, intanto, che, a cagione della tresca che esiste tra quella donna e quell'uomo, va a monte il matrimonio della povera Ida con Roberto Arienzi.

A tali parole, rispose un grido, un lieve grido straziante ed entrò la stessa Ersilia, pallida, terrea, disfatta.

– No, no – ella disse, o, piuttosto, balbettò – non sarà mai detto che io abbia fatto la sventura di quell'angelo di ragazza.

E cadde come fulminata.

L'infelice aveva assorbito, in quel momento, una dose enorme di stricnina.

 

Allora, tutto venne in chiaro. Separata dal marito, ch'era lo stesso Onofrio D'Orazio, una canaglia della peggiore specie, il signor Giacomo se n'era invaghito e l'aveva presa con sé, facendola passare come sua seconda moglie. Da circa un anno e mezzo durava quel loro concubinato, quando lo stesso D'Orazio, ridotto alla più stridente miseria, era giunto, imponendosi: o mantenerlo di sana pianta, come un amico di casa, od egli faceva uno scandalo.

Il signor Giacomo aveva dovuto piegare la testa; ma la disgraziata Ersilia, ch'era sempre stata bersaglio d'ogni sorta di sventure, piuttosto che causare quella degli altri, s'era tolta la vita.


Cujas

 

Fonte: Cujas, Un amico di casa, in «Corriere di S. Pellegrino», III:18, Bergamo, 3 agosto 1902.

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