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ANALASUNGA

di Alberto Perrini (1919-2007)

Quella stramazzò per terra in una pozzetta del suo sangue. Lui l'avvolse in carta di giornali vecchi e la legò come un tappeto per l'estate che non si tarli, la mise nel bagagliaio della macchina e la scaricò nel Tamigi. Però un amico spione che si chiamava Pianòla fece la soffiata al fratello di Arabella che si chiamava Andogno, e quello giurò di vendicarsi facendo la spia alla polizia. Ma Cresman lo fece ammazzare anche lui da Lucciardone e da Raggino! E poi fece ammazzare anche molti altri, maschi e femmine! Scrivete i nomi che qualcuna me ne ricordo: Ada, Adalgisa, Adelaide, Adele, Agata, Agnese, Agrippina, Aida, Albina, Alice, Amalia, Arabella, Vilma, Capracotta... ma adesso, basta con la paura! Domani, appena viene il capitano che vi comanda, glielo dico pure a lui! Voglio essere chiamata al processo di quell'assassino a ruota libera, e voglio svergognarlo avanti a tutti, così spero che venga bruciato sulla sedia a furia di elettricità forte in quel suo sederaccio che voglio vederglielo fumare e scintillare!

– Brava! – gridarono i poliziotti contenti e clap! clap! clap! gli batterono le mani – Questo è parlare.

Quando la mattina dopo le guardie andarono nella sua cella dove l'avevano sistemata, la trovarono stecchita morta con la faccia verde, la lingua blu e la bava gialla. Aveva bevuto un caffè alla nicotina che nessuno seppe mai chi gliel'aveva dato.

  • A. Perrini, Analasunga, Milano Libri, Milano 1973, pp. 77-78.

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