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L'ASSENZA DELL'ASSENZIO

di Andrea G. Pinketts (1961-2018)

Assenzio scriveva bene. Scriveva troppio bene senza scrivere meglio, scriveva per bene. Controllava la prosa con buona educazione. Anche in ciò ravvisai una chiave di lettura. Non sbilanciandosi in considerazioni personali, riusciva a creare una sorta di barriera che lo separava dai panni sporchi con una scrittura a secco. Ogni sua frase era in diligente contrasto con la sua condotta. Sua. Sua. Sua. E ormai mia. I segreti erano protetti ma immaginabili al di là di parole blindate.

– Hai trovato qualcosa, Giuditta?

– No. Mi sembra di leggere quei manuali tipo "Centouno svolgimenti di tema per non essere segato".

Giuditta e io stavamo facendo i compiti al calduccio delle nostre emozioni mentre il fuori era diventato regno di un grande freddo, proveniente dalla Siberia. Proprio come quello del Cinquantasei, accompagnato dal vento russo chiamato Durian (tempesta e gelo).

Il concerto dei Durian-Durian, essendo un evento, non si era limitato a coinvolgere Milano. A Venezia l'acqua era alta un metro e sette centimetri, cosa che non accadeva dal 1973. Sui passi dolomitici si barbellava a meno tredici. In Molise, violente bufere avevano costretto la Polstrada a consigliare l'uso di catene per raggiungere i comuni di Capracotta e Pescopennataro. E chi voleva raggiungerli?

Gli abitanti cercavano di andarsene da una vita.

  • A. G. Pinketts, L'assenza dell'assenzio, Mondadori, Milano 1999, p. 266.

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