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IL BAZAR DELLA RABBIA

di Mattia Feltri (1969)

E però davvero è un bazar in cui ci si smarrisce. Si può incontrare chiunque, qua dentro, ed è un meticciato delle rivendicazioni che è il loro orgoglio. Sventolano le bandiere dei No-Tav. Esibiscono i cartelli dei comitati contro il Ponte sullo Stretto. Un tizio porta fisicamente la sua croce su cui c'è scritta la ragione del supplizio: quarant'anni di lavoro per mantenere un milione di farabutti. Ecco, il lavoro. Lo dice Beppe Grillo, dal palco, che lungo lo Tsunami Tour è stato fermato da sguardi imploranti lavoro, lavoro, un po' di lavoro. Ce n'è un altro che gira vestito come D'Artagnan, in teoria un vendicatore degli ultimi, e ce l'ha con Rocco Papaleo che fa la pubblicità dell'Eni e, dice D'Artagnan, l'Eni sta devastando la Basilicata. Prima che Grillo concludesse questa lunga giornata, e questa corta e lampeggiante campagna elettorale, un piccolo imprenditore dal palco s'era commosso pensando ai pagamenti che dallo Stato non arrivano, e ai quattro ragazzi che in settimana ha dovuto lasciare a casa. Non è per indulgere nel colore che sempre manifestazioni di questo genere offrono, e però c'è persino quello che con un amico svolge il tazebao del Movimento Uomini Casalinghi, che si pone come obiettivo il ritorno al matriarcato e ha per slogan qualcosa come "le donne a governare il mondo, gli uomini a rigovernare le case", un programma da cominciare con la raccolta di erbe e bacche spontanee a Capracotta.

  • M. Feltri, Il bazar della rabbia, in F. Sforza, Lo tsunami, La Stampa, Torino 2013.

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