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BIR-BILL, IL GALLO PORTAFORTUNA

di Cesare Zavoli (1895-1964)

Dindi e Lallo erano fratelli e vivevano nel paese di Capracotta, con la madre, la signora Veronica. Facevano i meccanici; riparavano le biciclette, le motociclette e le automobili.

Erano amici di un gallo portafortuna: il gallo del loro pollaio, il quale, quando era stanco di stare nell'orto, andava a passeggiare in paese, entrava nella bottega dei due fratelli e ci stava contento.

Qui volava da un'automobile all'altra, dentro gli scaffali, sui travi o sulla finestra, o sporgeva il collo di tra i ferri della grata, per farsi vedere. Di tanto in tanto lanciava all'aria qualche cantatina, e Dindi e Lallo gli rispondevano, come se fossero anch'essi due galletti canterini.

In tutti i pollai di Capracotta non c'era un gallo così bello e forte.

Pareva un re: un re guerriero. La cresta era come un elmo rosso scuro, quasi nero; e i bargigli sembravano una barba severa.

Il becco era forte, pronto a colpire, e gli occhi, freddi, senza espressione, come quelli delle persone furbe, che non lasciano capire ciò che pensano. Aveva le piume rosse e la coda che sembrava un grande punto interrogativo blu. Camminava diritto, superbo, da padrone.

Nell'orto, le galline lo seguivano beccando i semi tra l'erba e chiocciando.

Il farmacista di Capracotta lo guardava con ammirazione, e volle dargli un nome.

Lo chiamò Bir-Bill.

– Ih, com'è ridicolo! – esclamò la signora Veronica.

– È il nome di un medicamento inventato da me – rispose serio il farmacista.

  • C. Zavoli, Bir-Bill, il gallo portafortuna, Mutilati, Carpi 1951, pp. 115-116.

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