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CRONACHE DALLE TERRE DI SCARCIAFRATTA

di Remo Rapino (1951)

Il paese si chiamava, mò non cominciate subito a ridere, Scarciafratta.

Sì, Scarciafratta, ma un nome è un nome, un filo d'erba sull'acqua, va per conto suo, non fa resistenza, va e si perde.

Che gli fai a un nome?

Puoi solo avvolgerlo con un manto di silenzio, farne una voce muta, ci puoi ridere sopra, una scrollata di spalle, un calcio in culo, e niente.

Che il paese si portasse sulle saplle, da saecula saeculorum, quel nome strambo era mistero anche per Dio padre onnipotente, e per il suo Spirito, per il suo bravo e sfortunato figliolo, come per tutti i santi e le sante del paradiso.

Intanto il nome quello era, Scarciafratta.

Certo, di nomi strani, a spulciare tra i cartelli stradali di Benvenuti a... erano piene terre e contrade: Belsedere, Femminamorta, La Sega, Strangolagalli, Vagli Sotto e Vagli Sopra, Altolà, Capracotta, Bagnacavallo e Campacavallo, che l'erba cresce, e così a seguire di stranezza in stranezza, da ogni nome rombava una bella risata con i pagliacci a far festa.

Che più che nomi sembravano scherzi da circo equestre o, come si dice, da prete.

Ma Scarciafratta! A volerlo spiegare, quel nome, metteva un cerchio di pensieri alla testa.

  • R. Rapino, Cronache dalle terre di Scarciafratta, Minimum Fax, Roma 2021.

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