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DOPPIA IDENTITÀ

di Raffaele Castelli (1951)

Era un uomo con occhiali e un viso allegro e semplice, sembrava che fosse la guida della situazione, fece un inchino e diede di nuovo la mano.

– Sono di Capracotta – disse.

– In che senso? – Adam non comprese la battuta.

– Il mio paese si chiama così, Capracotta, sulle montagne del Molise, ai confini con l'Abruzzo. Loro sono tutte di Lanciano. Sono il loro parroco. Abbiamo organizzato un viaggio in Australia per venire a visitare i tanti parenti di ciascuno di loro. Qui a Perth.

– Ah... ho capito, mi fa molto piacere. Molise?

– Io sì.

– Un momento. – Adam trovò David sulla rubrica del cellulare e fece squillare il telefono. – Vieni – disse, – ci sono delle amicizie per te...

– Ma sto sistemando il locale, oggi è giorno di chiusura e mi dedico alle pulizie...

– Dico una sola parola: Italia. – Chiuse senza attendere altro. Non si era accorto che don Cesare stava già intonando una canzone tipica e tutta la comitiva ballava e cantava.

– Calabrisella mia, calabrisella mia, calabrisella mia, facimmu ammore.

Fu allora che giunse David il quale scoppiù in una risata irrefrenabile, capì tutto. Non ancora sapeva di don Cesare e della sua Capracotta. Dopo, quando lo spettacolo finì, si scambiarono le rispettive impressioni.

Il rpete disse del suo luogo di origine, David se ne venne fuori di nuovo con le Civitelle e le mura megalitiche dei Sanniti, talché qualcuna lo guardò, grande e grosso e dovette girarsi per nascondere la propria ilarità. La stessa che, forse anche per un nuovo bicchiere di vino rosso, e due tarallucci piccanti, divenne travolgente e complessiva.

Ci volle del tempo per riuscire a sapere come si chiamasse quello strumento così semplice, a prima vista, e capace di accompagnare con musica chi canta.

  • R. Castelli, Doppia identità. Un caso di uguale DNA, Lulu, Raleigh 2017, pp. 55-56.

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