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IL VESUVIO UNIVERSALE

di Maria Pace Ottieri (1953)

Salta agli occhi una forte complicità fra Giuseppe e Gianluca, allusioni, rimandi, familiarità che rimbalzano dall'uno all'altro: il tenente Candura è l'inatteso, la miccia, il catalizzatore che ha acceso e protetto la passione civile dei ragazzi; alle spalle sono anni rischiosi ed esaltanti di una lotta comune e il tenente, calmo, protettivo, implicito, è una figura del potere del tutto nuova e opposta a quelle a cui si è abituati qui.

Il tenente Candura saluta a ogni passo, un vecchio di ritorno dal mercato con due borse cariche di verdura, il padre di un morto ammazzato, si avvicina e chiede quando avrà giustizia.

«Dieci anni fa io non avrei potuto parlare amabilmente con le persone con cui stamattina mi intrattengo qui al mercato delle pezze, sono tutte persone di quel tipo».

L'assenza dalle strade di quelli che sono in carcere fa moltissimo. La gran parte della gente è brava gente, che lavora o cerca di lavorare.

L'importante è non dare loro l'impressione di una guerra personale, c'è modo e modo di arrestare, bisogna sempre tenersi in un alveo di rispetto.

Riscendiamo all’inizio della salita di via Pugliano, il grande Palazzo Capracotta, uno dei più antichi e belli della città, è vuoto e transennato da decenni.

Rimasta sola, mi inoltro nel giardino interno inselvatichito, mi aggiro al piano terra, al buio, tra i ponteggi, i muri diroccati e gli antri dei venditori di pezze. Compare un uomo prestante e strafottente di una cinquantina di anni, mi viene incontro e per mostrarmi chi è, con un gesto enfatico si alza il giubbotto di pelle marchiato Gucci e spingendo il pube in avanti mi fa vedere la fibbia della cintura. «È d'oro, 24 carati, me l'ha regalata un americano, ralphlorèn, io ho tutta roba buona, molto buona».

I magazzini a piano terra ce li aveva già suo padre, le pezze sono il mestiere di famiglia, anche se di quattordici figli è rimasto solo lui a mandarlo avanti.

  • M. P. Ottieri, Il Vesuvio universale, Einaudi, Milano 2018.

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