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L'IMPERO FAMILIARE DELLE TENEBRE FUTURE

di Andrea Gentile (1985)

Il cielo non esiste.

Cielo delle Rocce Metamorfiche. Cielo delle Blatte.

Nessun cielo vedo ora: qui.

Mi avvicino alle mura ciclopiche: oramai si sono fatte cera.

Sono qua, dall'alto guardo questa lunga pozzanghera di nerume, che fu per secoli totem ignorato. Continua a uscirne fumo, a vampe. Ora odora di mandorle tostate. Mi chino. Mi inginocchio.

Osservo questo liquame ceroso, da vicino. Lo guardo come si guarda un figlio malato. Esse erano le mie mura ciclopiche. Tutt'attorno non c'è niente. Nessun rumore, né colore. L'asfalto della strada pare sussultare di tanto in tanto, ma è forse solo un'impressione.

Dove sei, la madre mia?

Osservo da vicinissimo questo passato lipidico, bituminoso, intriso di ghiandole sebacee del paleolitico. La pozzanghera prende vita, nei suoi sussulti fumosi, e esala respiri di tachicardia. Mi guarda. È un trapasso.

Sento il prurito, esteso su tutto il mio corpo.

Penso di voltarmi attorno, ma non lo faccio e non so perché.

Il mio indice si alza, lievemente arcato, poi si tende, in una linea retta. Si avvicina con lentezza alle mura ciclopiche.

Ho paura di bruciarmi, ustionarmi irreparabilmente.

Il mio dito affonda in quel tessuto ceroso, liquido come caramello.

È freddo, glaciale.

L'indice schizza fuori, per salvarsi.

Non mi dimentico del cielo.

Forse non esiste.

Guardo su. Venature grigie sovrastano ovatte rutilanti, Chagall presago.

Guardo il Monte Capraro, svetta glaciale nell'estate.

Mamma, ci sei tu. Il tuo viso è grande quanto il monte.

Il monte ti abbraccia, tu accogli quel suo affetto barocco con una carezza sulla testa.

Chiudo gli occhi, li riporto qui. Il mio dito è nero e trema. Le mura ciclopiche eruttano ancora.

  • A. Gentile, L'impero familiare delle tenebre future, Il Saggiatore, Milano 2012, pp. 54-55.

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