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IO LA SIGNORA TAMARA LA TERREI

di Georgia Manzi (1967)

Erano un po' di giorni che Clelia si sentiva stanca.

– Dev'essere quest'aria di mare – aveva detto. – Mi dà questo languore insano.

Il primo pomeriggio si era chiusa in camera e aveva acceso l'aria condizionata, per asciugare la stanza. Il giorno dopo si era misurata la febbre, 37 e 1, e si era messa a letto. Quel pomeriggio sedeva sul divano con le gambe allungate sul poggiapiedi.

– Ho un fastidioso dolore di stomaco. Una leggera indisposizione, una costipazione, ma non nel senso che non vado di corpo. Perché per andare vado. Solo...

Lilli aveva smesso di ascoltarla quasi subito. Si alzò di scatto e le chiese:

– Ti vado a prendere qualcosa in farmacia?

– In farmacia? Ma che cosa? Un'aspirina?

– Ok.

– Aspetta, dove vai? Qui mi deve vedere un medico, un professore.

Piegò la testa leggermente indietro e guardando in alto si domandò con voce drammatica:

– Ma perché sono venuta in questo posto? Io stavo a Roma. A Roma. Non a Capracotta. A Roma. Nel salotto di Roma. Non a Centocelle, alla Bufalotta, al Prenestino. Nel salotto di Roma, a Vigna Clara.

E lo disse con tale sentimento che Lilli quasi ne fu gelosa.

– Vado a chiedere lo stesso in farmacia. Magari loro sanno cosa darti finché non ti vede qualcuno.

  • G. Manzi, Io la signora Tamara la terrei, Rizzoli, Milano 2013, pp. 43-44.

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