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LA LEGGENDA DEI MONTI NAVIGANTI

di Paolo Rumiz (1947)

Capracotta. Quota 1.400, nubi basse, vento e profumo di salsa di pomodoro. All'ora di pranzo, per strada solo un cane, un bimbo in bicicletta, la pantera dei carabinieri e, sui muri, gigantografie di epici inverni con il paese sepolto sotto metri di neve. Oltre la chiesa, un precipizio con vista sulla valle del Sangro. In Molise il vuoto cresce. Dopo le grandi montagne-isole dell'Abruzzo, comincia una Polinesia di cime minori. Un perfetto luogo-rifugio per Sanniti, Longobardi e, si dice, Cartaginesi datisi alla macchia alla fine della guerra punica. Anche Andrea, oggi, è preso da un sano desiderio di far perdere le tracce di sé.

Qui ci sono anche croati e albanesi, mi spiega all'uscita della chiesa un raffinato signore con il pizzetto e il basco. Emigrarono in Molise per ripopolare le terre svuotate dalla peste.

– Siamo, – dice della sua gente, – un perfetto campo base della pastorizia multinazionale. Distinguerci è facile: i paesi con le vacche sono longobardi, quelli con le pecore sono albanesi o croati.

È di origine croata anche lui, la sua famiglia sta da secoli a Montenero di Bisaccia, il paese di Antonio Di Pietro. Quando gli dico che sono di Trieste, diventa più preciso nei riferimenti alla sua terra d'origine. Non dice più «croato», ma «morlacco». I morlacchi sono la brigantesca stirpe montanara, nota dalle mie parti, che ha fornito alla Repubblica di Venezia e poi all'impero d'Austria le balie migliori del Mediterraneo e i soldati più tosti da mettere in campo contro il Turco sul confine della Bosnia.

Gli ricordo che i morlacchi sono stati in prima linea anche nell'ultima guerra iugoslava.

Sorride: – Se è per quello, i morlacchi li avete in casa. Hai mai guardato la testa di Di Pietro? Nuca piatta, occhi folli. Pastore morlacco stampato. E il carattere lunatico? Morlacco anche quello.

Che strano, ho frequentato i Balcani per anni, e non ci ho mai pensato. È vero. Il profilo ministeriale di Antonio Di Pietro l'ho già visto mille volte, alla sommità di corpi atletici armati di kalashnikov dalle parti di Mostar o in fondo a valli montenegrine piene di pioggia e di vento. L'ho incontrato in capanne puzzolenti di pecora sui monti d'Albania, e persino nelle terre greche d'Epiro da dove scese Filippo il Macedone.

  • P. Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 275-276.

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