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La cartolina: elogio del cappotto


Capracotta - Stazione climatica estiva-invernale e sport m. 1.421 s.m. - Piazza Municipio

C'è in casa una vecchia cartolina illustrata di Capracotta sotto la neve - edizioni S. Sammarone - di cinquanta e passa anni fa, che ogni tanto mi capita sotto gli occhi. Quando ciò accade, non la ripongo subito, ma mi soffermo a rimirarla con qualche diletto.

Si vede la piazza, lato verso la torre, sommersa da enormi cumuli di neve.

La ragione per cui mi fermo a guardare la cartolina, a vezzeggiarla, non è tanto per quel subisso di neve, che certamente fa effetto, specie in tempi di magra come sono quelli correnti, quanto la suggestione che suscitano le figure che movimentano la scena. Sono tutte intabarrate nei loro mantelli, tranne due, tanto da costituire una specie di campionario del cappotto a ruota.

Splendeva un bel sole quel pomeriggio di tanti anni fa in cui l'ignoto fotografo scattò la foto. La luce è vivida, ma radente; le ombre sono ben marcate e cominciano ad al lungarsi, segno che il sole sta declinando.

I cumuli di neve più grossi sono ammonticchiati davanti alla casa di Vincenzino Conti e a quella dove abitava il sarto Popolano. Davanti a Vincenzino è stato creato un passaggio, ma Popolano è bloccato: portone e finestre, sepolti. Forse lui non c'è. L'ingresso della macelleria Sozio, a fianco, è scoperto: vi hanno spalato.

Addosso alle case gravano, fitti e compatti, strati di neve simili ad immani parrucconi. Oddio (vien da pensare), e se i tetti cedono? Da uno di essi sporge, lateralmente, lungo la linea del timpano, una lunga fila di lisce.

Il portone di Sebastiano è coperto visibilmente fino alla sommità, dove spunta il tabellone, su cui si legge: "Sebastiano Sommarone parrucchiere". Dico visibilmente perché non è detto che l'accesso al negozio sia ostruito, anzi non lo è, dal momento che, di lato, ci sono cumuli di neve rimossa e si nota una donna rivolta verso il negozio, in procinto di scendere.

Sulla torretta, uno spesso strato di neve, a cupola. Dal finestrino della medesima, sopra il tabellone, si protende un coso, forse uno stuoino o una veneziana. E questo francamente stupisce non poco. Che ci fa quel coso, spruzzato di neve, sporto in avanti come se dovesse riparare l'interno dal sole?

In pieno inverno? Che forse la nevicata abbia colto tutti di sorpresa, dopo un periodo di bel tempo, tanto che zia Bettina, o Lucietta, non abbia avuto il tempo di ritirarla?

Mistero.

Andiamo avanti. La torre dell'orologio non mostra neppure una spruzzatina di neve. Si vede che il vento l'ha aggirata. L'orologio segna, almeno così sembra, le sedici e dieci. Dunque la foto è stata scattata in un pomeriggio invernale, alle quattro e dieci. In che mese? Non a dicembre e neppure a gennaio, quando le giornate sono cortissime e a quell'ora il sole si sta coricando. A febbraio, dunque, o a marzo.

Il tetto della casa di Bazzarino e quello della casa a fianco, appena imbiancati, fanno vivo contrasto con gli altri tetti bene incappucciati. Trovandosi sopravvento, la neve li ha risparmiati.

Spruzzate di neve sono anche le facciate delle case della piazza, a sinistra, che hanno i balconi e le mensole delle finestre stracolmi. La persiana di una finestra al pianterreno è rimasta aperta, incastrata nella neve.

Sullo sfondo, Monte Campo è ammantato di bianco.

Andiamo adesso a vedere chi c'è in piazza. Ci sono ben dodici figure, undici uomini e una donna. Sono tutti in fila lungo la pista battuta tra un cumulo e l'altro. Alcuni, accortisi del fotografo, si sono messi in posa; tre uomini e un ragazzo camminano in fila indiana, tutti e quattro intabarrati; davanti al bar del Milionario c'è un uomo con un pastrano addosso o un cappotto, non si capisce bene.

Tutte le volte che prendo in mano la foto, sono punto dalla curiosità di identificare le figure, forse per un desiderio inconscio di ricreare, in ispirito, un rapporto umano, affettivo con le persone che esse rappresentano, specie quelle che non ci sono più. Due di esse si riconoscono bene: sono Aurelio Di Rienzo e Annibale di don Giacinto. Aurelio non ha il cappotto, ha l'impermeabile: forse sarà venuto in piazza da sotto al serbatoio, dopo giorni di isolamento, per sentire le novità.

La bufera avrà imperversato, come al solito, per tre o quattro giorni, tappando tutti in casa. Annibale ha una mantellina con il collo rialzato: sembra che guardi divertito verso il fotografo. La visione della sua immagine suscita ancora, dopo tanti anni, sensi di accorato rimpianto. Vicino ad Aurelio c'è uno che sembra Bozzetto, ma potrebbe essere anche Pompilio. Un altro sembra Amedeo Paglione. Davanti alla macelleria c'è uno che mastreggia con qualcosa che ha in mano: forse è compare Vincenzo Borrelli con il cartoccio della carne appena comprata.

E quella donna che va da zio Ciano chi sarà? La moglie dello scarparello che va a comprare quattro soldi di smicce?

L'uomo del bar, cui si è fatto cenno, pare che sia Antonio di Tavuto, ma il pastrano che indossa, se di pastrano si tratta, ne fa dubitare.

I tre uomini e il ragazzo che incedono in fila indiana, tutti incappottati, si vedono di spalle e qu indi non sono identificabili.

Nella cartolina c'è un solo ragazzo: e gli altri? Possibile che siano tutti rintanati in casa? C'è da scommettere che la fine del maltempo e la ricomparsa del sole li abbia indotti a prendcre i loro sci arrangiati e ad andarsene a sciare nei prati di Conti o al trampolino, dietro alla Madonna. Forse qualcuno si è spinto fino a Colle Liscio.

Quasi tutti i personaggi hanno le fasce alle gambe, come si usava allora.

Ma l'indumento che campeggia, attirando l'attenzione dello spettatore, è il cappotto a ruota. Merita perciò, questo impagabile capo di vestiario, un piccolo elogio per il servizio reso a tante generazioni.

In quell'epoca, quando non esistevano giubbotti e giacconi imbottiti, per ripararsi dal freddo, in montagna, non c'era niente di più congruo del cappotto a ruota. Bene avvoltolato in esso, ti sentivi a tuo agio perché il cappotto ti creava intorno al corpo una sorta di cuscino d'aria, un isolante termico, che impediva la dispersione del calore corporeo. Ti sentivi, per modo di dire, nelle tua nicchia ecologica, al riparo.

La tormenta spesso cercava di rivoltartelo sul capo, e qualche volta ci riusciva, ma questi erano gli incerti del mestiere, si fa per dire, che non sminuivano affatto la praticità e la funzionalità dell'indumento.

Uno o due cappotti, spesso anche di più, di panno nero o blu, coi colli di pelliccia forniti di borchie e catenelle d'ottone per l'aggancio, funzionali ma anche elementi di ornamentazione, pendevano dagli attaccapanni di ogni casa.

Erano lì, a portata di tutti, anche delle donne, quando necessario.

Facevano figura, davano tono all'ambiente e, ciò che più conta, davano un appagato senso di tutela contro la tormenta e il freddo.

Merito anche dei bravi sarti del paese che li sapevano confezionare a regola d'arte.


(1988)


Domenico D'Andrea

 

Fonte: D. D'Andrea, Sul filo della memoria, a cura di V. Di Nardo, D'Andrea, Lainate 2016.

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