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VITELIÙ

di Nicola Mastronardi (1959)

Gavio Papio Mutilo era diventato insolitamente allegro mentre percorrevano in salita la mulattiera che li avrebbe condotti al Guado della Cannavina. Giunti al valico trovarono la fortezza di guardia abbattuta, come pure lo erano state tutte le case del villaggio di Kerres che avevano visto alla loro destra, salendo. Voltarono a sinistra, verso occidente e affrontarono l'erta, dritta e costante, che sarebbe terminata solo alla base della vetta del Monte della Macchia.

Pareva avere l'animo leggero l'anziano cieco e, mentre salivano, da buon conduttore di popoli ed eserciti pianificava i giorni futuri per il gruppo. Insolitamente loquace, parlava di continuare quel viaggio e di come completarlo nel Santuario della Nazione, sede del Kombennio federale safino. Espresse ad alta voce, due volte, il desiderio di tornare al santuario e ricordò insistentemente a Eumaco quale fosse la collina che gli aveva indicato, sulla cui sommità desiderava essere sepolto una volta che fossero finiti i suoi giorni. L'aveva scelta, disse, per guardare contemporaneamente le due valli, le Morge sacre, il monte Karakenòs, il monte gemello e tutto l'emiciclo che circondava il Pago del Toro sacro da quella posizione elevata e centrale. Eumaco dovette rassicurarlo più volte a voce alta.

Dopo la vetta del Monte della Macchia l'indomani sarebbero saliti sul Monte del Campo, che seguiva immediatamente a occidente, per poi ridiscendere verso il Valico dei Sacrati e, dunque, giungere al vicino stazzo di Assio. Avrebbero chiuso il cerchio in meno di quattro giorni dalla partenza, continuava a dire Gavio Papio. Appariva ottimista, visto che si apprestava a concludere tutto ciò che si era prefisso da anni. Mancava ora solo l'ultimo atto da compiere ed era ormai imminente: l'avrebbe fatto prima di giungere in vetta. Era forse questa consapevolezza a renderlo contento, dopo di che non gli sarebbe rimasto che pregare che la memoria del popolo safino fosse salva e con essa la pace, la salvezza dei superstiti e la verità sulla sua storia. E l'onore. Era contento e sollevato nonostante ciò che aveva dovuto raccontare al ragazzo giù, alla fonte di Kerres. Alleggerito dal sollievo di averlo comunque fatto. Pensava, infine, anche ai fuochi della notte del solstizio, attendendo che chi li avesse accesi si facesse vivo.

  • N. Mastronardi, Viteliù. Il nome della libertà, Itaca, Castel Bolognese 2012, pp. 362-363.

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