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Attentato al Piccolo Principe



Così ho vissuto solo, senza nessuno con cui poter davvero parlare a parte Siri, finché sei giorni fa non ho avuto un incidente durante la notte di Capodanno. Era una sera piena di lavoro e, tra una corsa e l'altra, avevo lasciato il taxi in doppia fila vicino a un bar dove fanno i maritozzi più buoni di tutta la città. Sono così buoni che c'è sempre la doppia fila, sia in strada che al bancone. Era ancora presto, ma nel bar già partivano i tappi di champagne, e ne hanno stappati tanti che non avevo sentito il botto che qualcuno aveva fatto andandosi a imprimere nel cofano del mio taxi, andandosene via subito dopo. Il sospetto cadde su quel tizio entrato nel bar poco dopo di me, e che mi aveva chiesto di farlo passare avanti nella fila perché, mi aveva detto, non si sentiva al sicuro a girare in auto per strada a poche ore dalla mezzanotte con tutti i pazzi che ci sono al volante.

– Pronto, vigili urbani – mi aveva risposto una bocca piena.

– Pronto, salve. Vorrei denunciare un danno arrecato al mio taxi. Le spiego, praticamente...

– Ci sono morti, feriti gravi o feriti lievi?

– No, per fortuna no. Solo il taxi ha riportato danni piuttosto evidenti.

– Allora temo non potremo venire.

– Come no?

– Ennò. C'abbiamo le piazze con la musica, domani pure Porta Portese e nun me ricordo che artro corteo ce sta. E siamo pure in carenza di personale in quanto in centrale gira l'influenza de stagione.

– Ma che vergogna! Ma dove siamo, in Africa? Sembra di stare nel deserto!

– Ecco bravo, infatti si ce vedi d'arivà se tratta sicuro de 'n miraggio, guarda. Tant'auguri, eh!

Temevo che trovare vigili urbani a Roma la notte di Capodanno sarebbe stato impossibile, perché sapevo già che molti di loro non sono immuni dall'influenza di San Silvestro che ti riduce, in poche ore, a blaterare frasi a caso, fare ignobili trenini e preferire al classico termometro un bengalino scintillante. In giro non c'erano nemmeno i soccorritori dell'amaro Montenegro, e nemmeno l'amaro, perché nel frattempo anche il bar aveva chiuso. Ma il taxi mi serviva per lavorare, era una questione di vita o di morte e avevo scorte d'erba solo per otto ore. Perciò la prima cosa che ho fatto, pieno di maritozzi com'ero, è stata quella di fumare e addormentarmi, a mille miglia da qualsiasi meccanico aperto. Ero più isolato di un nerd su una zattera in mezzo all'oceano senza wi-fi. Potete immaginare la mia sorpresa quando sono stato svegliato da una bocca impestata di tabacco, whisky irlandese e sonno medicinale che mi diceva:

– Ehi amico, disegnami una pecora!

– Eh? Cosa? Vuoi andare a Capracotta? No mi dispiace, il taxi non va.

– Forza amico, una pecora...

Sono balzato in piedi come balza in piedi uno che si sta riprendendo da un mix letale di cannabis e maritozzi. Non mi sarei qualificato nemmeno ai preliminari della coppa Oblomov di sollevamento palpebre. Mi sono sfregato gli occhi rossi e ho guardato bene. Non ci potevo credere, chinato sul mio finestrino c'era il mio attore preferito, Matthew McConaughey, ridotto come uno straccio, con capelli lunghi, i baffi come li portava in quella serie troppo figa, True Detective, e la barba appena diserbata che mi fissava con aria urgente mentre fumava. Era lì, presente, avanti a me, i suoi occhi avevano agganciato i miei, ma avvertivo chiaramente che il suo essere lì era spinto da energie universali e flussi senza tempo che avevano trovato in lui un umano punto di raccolta. Ma di certo il mio ritratto è molto meno bello di quello di Nick Pizzolatto. Non è colpa mia. Quando avevo sei anni gli adulti mi avevano dissuaso dall'intraprendere la carriera di artista, perciò non so illustrare altro che cazzi boa eretti o a riposo. Non sono mica uno scrittore, io!


Adelmo Monachese

 

Fonte: A. Monachese, Attentato al Piccolo Principe. Un'indagine per True Detective, Les Flâneurs, Bari 2017.

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