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Capracotta, la spuntano gli intransigenti


L'aquila romana disegnata da Giovanni Paglione.

Anche a Capracotta l'avvento del fascismo avrebbe portato ad un lungo braccio di ferro tra gli esponenti della locale sezione e la parte politica che non sembrava propensa al fascismo, legata alla famiglia Conti, di cui Alfredo era sindaco del Comune. La sezione del Fascio venne aperta a Capracotta il 26 marzo 1923 e vedeva come segretario Francesco Paglione. Una sezione che si metteva pienamente in linea con l'intransigentismo del federale David Lembo e si poneva l'obiettivo di scalzare l'amministrazione locale. Proprio Paglione, a detta del federale Lembo, che «si è accinto all'arduo compito di ridare a Capracotta quella nobile e signorile fisionomia di civica corretteza che da un decennio di ignominioso sgoverno della cosa pubblica era divenuto un mito sperduto nella notte dei tempi e della leggenda». Il timore era che affiancandosi agli amici dell'ultima ora si potesse imbrigliare il fascismo evitando la sua azione di trasformazione radicale della società.

La prova di forza la si faceva in occasione della consegna del gagliardetto alla sezione, ai primi di ottobre del '23. Era proprio Paglione a puntare il dito contro quanti all'interno dell'amministrazione «ardirono ritentar la tratta degli schiavi», sottolineando come il fascismo, «abbattute le cinte» delle rocche alzate «dagli innominati, porta la sua fede pura nella rocciosa Capracotta [...] e si ripromette l'elevazione materiale e morale della nostra Capracotta e il suo riscatto dalla medievale tirannide che per un decennio l'à oppressa, ed alla quale furono cariatidi e sorpassati faccendieri di una politica venduta». Proprio Lembo, nel suo intervento, sottolineava come nelle amministrazioni comunali vi fosse ovunque «vecchiume corroso e tarlato, incapace a nulla, sordo ad ogni benefica voce di progresso [...] Il fascismo ha tali e tante energie giovanili, sagaci e fattive da mettere al loro posto per dimostrare come e quanto si possa e si debba operare pel bene di tutti». Nessun compromesso e nessuna tregua, dunque, con la vecchia classe dirigente. Al partito doveva fare capo tutta l'organizzazione della vita pubblica e sociale della comunità. Nonostante i tentativi, però, della sezione locale di far cadere l'amministrazione, il prefetto mantenne saldi i piedi a terra.

Le elezioni politiche del 1924 vedevano la lista ufficiale del Pnf raccogliere 347 voti. La Lista Bis, ottenere 29 voti; l'Opposizione Costituzionale, 20; il Psi, 13; il Ppi, 3. Sempre aspra, però, la disputa tra la sezione del Fascio e l'amministrazione Conti, che si sarebbe chiusa il 23 luglio 1925, con il decreto reale che scioglieva il Consiglio comunale di Capracotta.

«Problemi indilazionabili, quali lo approvvigionamento idrico, la costruzione delle fognature, la sistemazione e la manutenzione stradale e del cimitero – si leggeva nel provvedimento – non sono stati neppure affrontati, mentre altri importanti servizi pubblici e particolarmente la vigilanza annonaria, la nettezza urbana, l'igiene, la pubblica illuminazione, l'assistenza sanitaria ai poveri, sono in abbandono [...] Inoltre, gli uffici risultato in deplorevole disordine [...] La situazione finanziaria del Comune è precaria». Contemporaneamente, la federazione decideva per l'espulsione dal Fascio di Conti e dei suoi sostenitori, fra cui il cugino Gregorio. Il Comune veniva commissariato e la scelta cadeva sul console della Milizia, Eugenio Iannone. Agli atti anche una lettera dell'ex deputato di Capracotta, Tommaso Mosca, che scrivendo al prefetto denunciava le continue manovre di componenti del locale Fascio «che erano gli ardenti elettori del mio avversario politico Marracino, nittiano, socialdemocratico, massone» e che oggi puntano a fare espellere il sindaco «per impadronirsi dell'amministrazione che sotto il prefetto Emina» non erano riusciti. «Gli addebiti sono sempre gli stessi e siano stati dimostrati insufficienti ed irrilevanti dalle precedenti inchieste, pure sembra che profittando del cambiamento del Prefetto [...] abbiano ottenuto la proposta di scioglimento».

A fine dicembre del 1925, però, la caduta di Lembo portava alla guida della federazione fascista prima una Pentarchia e, poi, Giovanni Tirone, che avrebbe portato il fascismo molisano alla piena normalizzazione. Uno dei primi atti, la visita a Capracotta per riassorbire la famiglia Conti all'interno del locale Fascio allo «scopo di ottenere, ad ogni costo, la completa pacificazione di tutti i cittadini nel nome di Benito Mussolini». Non a caso, a gennaio del '26, chiedeva a Filiberto Castiglione di firmare un documento unitamente ad Alfredo Conti per ricomporre la frattura apertasi. Successivamente, riammetteva nel partito Gregorio Conti per consentirgli di potere avere la nomina a podestà. Pacificazione e normalizzazione erano il prezzo da pagare alla collaborazione e al consenso di vecchi avversari. Castiglione, seppure firmatario del documento congiunto con Conti, ritenne di mettersi da parte unitamente agli altri componenti del direttorio. Così, Tirone procedeva alla nomina di Gregorio Conti a segretario politico che, dopo la nomina a podestà, lasciava a Vincenzo Ianiro.

Nel direttorio trovavano spazio Ottorino Conti, in qualità di segretario amministrativo, e lo stesso Alfredo Conti, come componente. Proprio quest'ultimo, nella riunione d'insediamento del nuovo direttorio, il 21 aprile 1927, ringraziava Tirone «che in pochi mesi abbatté campanili e nefaste muraglie». Sembrava la registrazione della sconfitta di quel fascismo della prima ora sancita un mese dopo dalla presenza a Capracotta, il 30 maggio, del prefetto Spadavecchia e del federale Tirone che, tra l'altro, nel ricordare la figura dell'ex parlamentare Tommaso Mosca, deceduto il 24 marzo 1927, sottolineò come lo stesso fosse «legato alla [sua] famiglia da vincoli di salda ed elevata amicizia».

La musica, però, sarebbe cambiata con l'avvento alla guida della federazione del Partito di Nicola Palladino nei primi mesi del 1928. Dopo avere riammesso nelle fila del partito Giovanni D'Andrea, ex membro del direttorio fascista di Capracotta che aveva subito il provvedimento disciplinare, l'8 maggio 1929 procedeva a ricostituire il direttorio riportando Filiberto Castiglione alla segreteria politica. La nomina significava la rottura della tregua armata che si era avuta. Nonostante tutto, però, il prefetto Passerini, da poco a Campobasso, riteneva di confermare a podestà, l'8 luglio 1931, Gregorio Conti con il via libera anche della federazione fascista alla cui guida era stato inviato un federale di fuori regione, Mario Sensini, proprio per la piena normalizzazione della situazione politica. Nonostante tutto, però, i rapporti tra sezione locale del Fascio e podestà non sarebbero tornati cordiali, tanto che il nuovo prefetto Monticelli, a settembre del 1934, chiedeva ai carabinieri di verificare la situazione politica e amministrativa ancora in essere a Capracotta. «Il Conti – si leggeva nel rapporto dell'Arma al prefetto del 19 novembre 1934 – non ha mai chiesto la collaborazione col direttorio del Fascio che sarebbe tanto necessaria per assicurare una fattiva collaborazione. Non agevolerebbe i compiti dei dirigenti fascisti. Il carro funebre fatto costruire dal Regio commissario Iannone, per evitare che le salme venissero trasportate al cimitero a spalla, facendole sostare davanti le case dei conoscenti per il diritto alla sosta da 2 a 5 lire, è stato eliminato».

A marzo del 1935 era nuovamente il direttorio locale del Fascio a spingere per la rimozione del podestà: «Lo stato è talmente increscioso che si dimostra fatale allo sviluppo dell'ideale fascista. Il locale direttorio ha spiegato tutte le sue migliori energie per porre termine ad un'epoca passativista. Tutto è stato vano perché il popolo di Capracotta reputa sovrana una sola famiglia, i Conti». Anche la federazione del Pnf, guidata ora da Tito Di Iorio, riteneva di dovere inviare un proprio ispettore che il 21 marzo così relazionava:

A Capracotta sopravvive il feudalesimo, soggiogata com'è la popolazione dalle famiglie Conti e Castiglione; altra tinta medioevale dà alla vita capracottese l'esistenza di varie associazioni di arti e mestieri [...] e di fascismo nulla. Il popolo abituato a vecchi partiti li ha visti risorgere più insormontabili di prima, perché la parte malata, la parte cancrenosa si è vista protetta dal distintivo indegnamente acquistato. Fino a 10 anni fa un Conti era sindaco, uno farmacista, uno medico, uno arciprete, uno primo assessore. Di fronte al comune servilismo, sorse il Fascio di Combattimento nel 1923. I Conti, però, entrarono nel partito. Nel '25 fu espulso Alfredo Conti e poi gli altri. Con Gregorio Conti podestà, risorsero al potere le vecchiume idee. Sordo a qualsiasi iniziativa che sorga dal Fascio e sordamente ostacola il direttorio nell'opera di penetrazione verso il popolo. Non c'è la più pallida idea di sindacalismo ma ogni sua azione è improntata allo stile di un vecchio sindaco intento a conservare il più possibile la carica. Il popolo sordamente mormora, ma tace ricordando tempi di feudali vendette.

Anche il prefetto, a questo punto, inviava un commissario prefettizio per una piena valutazione della situazione. Il 24 aprile '35 questi scriveva: «Mio convincimento che la situazione di Capracotta ha necessità di radicali provvedimenti: sciogliere tutti i circoli e le associazioni di vecchio stile; istituire un Dopolavoro; togliere le cariche politiche e sindacali a tutti indistintamente; dare le cariche a persone estranee alle beghe familiari. Sarebbe bene che una volta per sempre si metta fine alle beghe paesane perché Capracotta, sentendo veramente lo spirito fascista, si abbia l'avvenire che merita».

Il prefetto raccolse la proposta così come formulata e il 16 settembre '35 nominava podestà Ermanno Santilli, di San Pietro Avellana, nonostante il parere negativo del federale Di Iorio, che lo riteneva «legato a vecchi interessi di Capracotta [...] Ha 64 anni, vecchissimo di idee e spirito e risiede a San Pietro Avellana». Un mandato podestarile, però, che sarebbe durato pochissimo. Infatti, era lo stesso prefetto a chiederne le dimissioni, il 15 luglio '36, perché non avrebbe garantito la necessaria assistenza sanitaria al Comune preoccupandosi «più dei suoi interessi che di quelli della salute pubblica». A questo punto non c'erano più ostacoli per la nomina a podestà di Filiberto Castiglione, sancita dal Regio decreto il 17 febbraio '37, il quale sarebbe stato riconfermato quattro anni dopo «perchél'opera svolta è stata bene apprezzata dalla popolazione».


Giuseppe Saluppo

 

Fonte: G. Saluppo, I Comuni molisani sotto il simbolo del Littorio. Amministrazioni, podestà e politica nella costruzxione del consenso, La Gazzetta, Campobasso 2015.

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