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Iacovone, la maledizione in un triangolo


Erasmo Iacovone (1952-1978).

Tutto in un ipotetico triangolo, diciamo 500 metri di lunghezza per ogni lato. Ai tre angoli altrettante case, quella di un calciatore, quella di un medico, quella di un malvivente. Il luogo di partenza è Tivoli Terme, che una volta chiamavano Shanghai perché un pilota militare partito dall'aeroporto di Guidonia, sorvolando quel fazzoletto di terra adagiato alle porte di Roma, sulla via Tiburtina, giurò che quel paesello, composto da case basse e tutte a un piano gli ricordava la città cinese, su cui aveva volato in tempo di guerra. Il primo dei tre personaggi in questione si chiama Erasmo Iacovone, nato a Capracotta, dove gli abitanti assicurano che fa freddo undici mesi l'anno e il dodicesimo mese, quello estivo, fa freschetto. Classe 1952, era sbarcato presto a Tivoli, complice il trasferimento lavorativo del padre. Oggi nel "Tivolese" c'è spazio per parcheggiare l'auto neanche a pagarlo oro. Ma in quegli anni, in quel paese stanziato a una decina di chilometri dalla città eterna c'era tutto (si fa per dire) tranne il traffico, il via vai di sgommate e i clacson che strombazzano in continuazione. C'erano campi di grano, cave di travertino e spazi sterminati per giocare a calcio. Bastava uno spiazzale, i cappotti per fissare i pali della porta e un nugolo di ragazzini che correva dietro al pallone, fantasticando magari un futuro da campione.

Franco Conti, l'unico ferramenta di quella zona, osservava i "figli di Villalba" crescere, li consigliava, li allenava. Aveva trascorsi da portiere e una spiccata capacità di rapportarsi con i ragazzi. Fra questi, c'era - appunto - Erasmo. Che ci mise poco a mostrare il suo valore. Passò presto dalle sfide alla "o gamba o palla" disputate sulla strada a indossare la maglia dell'Albula, campionati minori e campi in pozzolana. Poi passò all'Omi Roma, Serie D. Giocava in attacco, non era un fromboliere, ma aveva stoffa da vendere, quando "staccava" di testa pareva volare, riusciva a restare in aria un attimo più degli antagonisti di circostanza, come se riuscisse a dare al suo corpo un ulteriore scatto di reni mentre saliva in alto. Un modo di librarsi che avevo visto fare, prima di lui, solo a un cestista statunitense, Charlie Yelverton, quando giocava a Varese. La crescita di Erasmo Iacovone fu veloce e repentina, giocò mezza stagione a Trieste in Serie C, poi lo adocchiò il Carpi, Serie D, dove cominciò a far svettare anche il suo nome sui giornali. E, con 13 gol, contribuì alla promozione della squadra in Serie C. Ma l'anno successivo si presentò ai nastri di partenza del campionato di C con la casacca del Mantova, piazza che non pressa i suoi beniamini, ideale per un football a misura d'uomo.

I tre anni nella terra di Virgilio sono "Bucoliche" istantanee di un calciatore in continuo miglioramento, al punto che sul ragazzo mette gli occhi il presidente Giovanni Fico, che a Taranto vagheggia lo squadrone per sbarcare in Serie A. Erasmo viene acquistato per giocare in attacco e far coppia con Franco Selvaggi, che al Mondiale dell'82 si laureerà campione del mondo. Erasmo che segna al debutto e che va in gol pure nel derby col Bari, così da diventare il prediletto della tifoseria. Erasmo che diventa una garanzia, Erasmo che finisce sul taccuino degli osservatori di casa Fiorentina. Erasmo... e la parola "fine". Ricordate il triangolo iniziale? Ecco, anche il medico e il malvivente sono in quei giorni in Puglia, è il febbraio del 1978. Una sera qualsiasi, i calciatori del Taranto che decidono di andare a vedere uno spettacolo di cabaret in cui recita Oreste Lionello, Erasmo che resta indeciso. Andare o restare a casa? A Carpi c'è la sua donna che lo aspetta, ma soprattutto una bambina in arrivo. Segue i compagni di squadra ma poi decide di tornare indietro: l'idea di diventare padre lo affascina, magari potrebbe arrivare la telefonata della sua Paola. Viaggia sulla statale Jonica a bordo di un Citroen Diane, macchina leggera come un fuscello che viene accartocciata in un amen dal bolide in corsa di quel malvivente in fuga dai carabinieri e il suo "fuggifuggi" cominciato subito dopo un furto. L'auto che lo investe è un'Alfa Romeo, che era stata da poco rubata al medico. Sì, proprio lui, il dottore che abitava a un "tiro di schioppo" da casa Iacovone. Così come a due passi da casa Iacovone c'era l'abitazione del ladro in fuga.

Erasmo muore sul colpo, il corpo è sbalzato lontano dall'impatto. La notizia ci mette poco a fare il giro della città, sul posto arrivano i compagni di squadra, le lacrime si mischiano alla rabbia, il dolore è lancinante. Il giorno dei funerali i negozi hanno le serrande abbassate e nello stadio che prenderà il nome di Erasmo - e che all'epoca si chiamava "Salinella" - si assiepano in 15.000. La bara che sfila fra i tifosi, lo sventolio dei drappi rossi e blu e il grido «Iaco-Iaco-Iaco» che sale verso il cielo. Così, col più assurdo degli scherzi del destino, si chiude la favola di un ragazzo per bene, mentre restano i dubbi di quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Della Serie A mai raggiunta sia da lui che dalla sua squadra, il Taranto. Di una vita maledettamente breve. E di una figlia nata nell'autunno del 1978 e mai tenuta fra le braccia.


Massimiliano Morelli

 
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