Sacra Rituum Congregatio,
Palazzo del Laterano,
lunedì 28 febbraio 1707
– Sia lodato Gesù Cristo, entrate.
– Sempre sia lodato.
Con la schiena leggermente ingobbita e il collo taurino, il solito portamento da plantigrado bastonato, Nunzio entrò a passi corti nell'ufficio del Prefetto, il card. Gaspare Carpegna. I due si conoscevano appena e i rapporti erano improntati al più austero protocollo canonico.
Un cardinale e un prete, pur colleghi nel magistero della Chiesa, erano distanti anni luce in quanto a dignità ecclesiastica. Carpegna era un uomo forte, in tutti i sensi, prestante nell'aspetto e potente nelle relazioni. Oltre alla più alta carica nella Sacra Congregazione dei Riti egli era da oltre trent'anni cardinale vicario di Sua Santità.
– Al diavolo le formalità. Noi dobbiamo stringerci in catena, Reverendo, per cui premetto che quest'oggi sarò cristallino con voi.
– Al servizio, Vostra Eminenza Reverendissima, con la stessa franchezza.
– Padre, la mia vita è stata magnifica ma, per leggi a noi ignote, la mia fede si è rivelata mediocre. Sinora mi sono concentrato sui successi materiali, quasi mai su quelli spirituali. Non guardatemi così, non aspiro a rivalutare il pietismo. Ah ah ah... se il mio predecessore sentisse solo proferirla quella parola, mi incendierebbe cogli occhi, senza ricorrere alla pece.
– Vostra Eminenza, io sono un montanaro, un umile sacerdote abruzzese che tenta...
– Smettetela con questi ammenicoli ossequiosi, diamoci del voi senza troppi fronzoli. Nonostante vi sopravanzi di quarant'anni, voi siete migliore di me. In questi mesi ho avuto modo di apprezzarvi e vi confido che non siete un semplice canonico, voi rappresentate la purezza bambinesca, quella purezza che è tanto cara a Nostro Signore. I vostri natali in quel piccolo castello di montagna vi hanno conservato puro, ingenuo, riguardoso. Tutto il contrario di questa lurida città. Voi siete il preferito per la delicata missione che ho in mente, un incarico che, se svolto con giustezza, potrebbe aprirmi uno spiraglio di paradiso. Voi, d'altronde, non ne avete bisogno; le luci del paradiso sono per voi accecanti già da molti anni.
– Ma... Cardinale... non dite così! Il cielo non è un premio, bensì una speranza. Nessuno può dirsi certo di raggiungerlo, nonostante la sua vita terrena sembri ineccepibile. Gli occhi con cui Dio ci guarda sono infinitamente più grandi dei nostri. Noi siamo soltanto l'ombra di ciò che Lui ha creato e, come l'ombra, la nostra misura varia al mutar della posizione dell'astro solare. Anche quando l'ombra è all'apice delle proprie dimensioni, non avrà mai la profondità della Cosa cui appartiene, men che meno l'enormità di Colui che l'ha creata. Allo stesso modo noi tutti non siamo che un cangiante riflesso di questo mondo che Dio ha creato. E se il sole è a perpendicolo l'ombra addirittura scompare, così noi svaniamo quando l'Altissimo ci guarda. E diventiamo niente ai Suoi occhi.
– Nunzio, la vostra personalissima apologetica mi commuove... il sole che crea l'ombra attraverso l'uomo... l'ombra che scompare sotto lo sguardo del sole... Iddio che tutto crea e tutto vede...
– Sapete inoltre che sono un fedelissimo del cardinal Vincenzo Maria Orsini. Qualunque missione vogliate affidarmi è a lui che dovete rivolgervi. Nei corridoi vaticani si dice che prima o poi diventerà sommo pontefice...
– Caro Nunzio, conosco abbastanza bene gli intrighi dei miei colleghi cardinali che serpeggiano ai piedi di Clemente XI e so per certo che il vostro protettore, se Nostro Signore non lo chiamerà a Sé anzitempo, non diventerà papa prima di un trentennio. Il prossimo Vicario di Cristo sarà certamente un De Comitibus, uno dei conti di Segni, la cui famiglia sta aspettando da generazioni di far salire al soglio qualcuno che riscatti le antiche vergogne del giovane Benedetto IX, lo scriteriato sodomita Teofilatto di Tuscolo. Ciononostante, vi assicuro che ho già parlato col cardinal Orsini e mi ha concesso di rubarvi a lui. Gli ho promesso un occhio di riguardo semmai dovessimo rinchiuderci presto in conclave...
Mentre parlava, il Cardinale guardava dalla finestra il brulicante andirivieni di plebi e mercanzie, pensò che doveva essere una febbre ciò che agitava quella moltitudine affaccendata, quei traffici, quelle bestie mai abbastanza dome davanti ai carri, quei bimbetti che chiedevano l'elemosina a tutte le ore del giorno.
– Ma chi dà loro tanta forza? – pensò il Cardinale ad alta voce.
– Se voi, Eminenza, pensate che questo sacerdote possa riuscire nell'impresa che avete in mente, non posso che accettare l'incarico e dirmene onorato, consigliandovi però di riservare più di un dubbio sul mio valore. Non sono un uomo del secolo. Ho conosciuto soltanto monaci e seminari e manoscritti e sacramenti. Per me il mondo visibile sta tutto nelle cento leghe che separano l'Urbe dal Contado di Molise.
– State tranquillo Nunzio, sebbene il mandato che vi conferirò potrebbe portarvi lontano da Roma e dalla vostra diocesi, resterete nell'ambiente a voi più congeniale, quello della santità. Avete capito bene... Vedete, io credo che un giorno sarete santo e chi, meglio d'un santo, può percepire la fragranza della santità altrui? Voi, monsignor Nunzio Baccari, dovrete recarvi da coloro che stanno in odor di santità e, senza rivelar nulla della vostra persona e della vostra missione, corrispondere direttamente con me su ogni dialogo che avrete, su ogni dubbio che nutrirete, su ogni scoperta che farete circa il presunto beato. Sapete bene che Santa Romana Chiesa è inerme contro la devozione popolare, ché quando questa esplode distrugge ogni canone e rischia di tramutarsi in divinazione, in superstizione, in eresia.
– Cardinale, riponete troppa fiducia nella persona mia e non vedo come possa passare inosservato in tali indagini. Tuttavia sappiate che se è davvero questo il vostro desiderio, tenderò all'ottimo per onorare la vostra richiesta.
– È questo il mio desiderio.
– Così sia. Avete già previsto un mio imminente ingaggio?
– Vedete che a voi le cose non serve nemmeno dirle? Voi leggete nel pensiero. Da alcuni anni c'è qui a Roma un minimo calabro, si dice sia un mistico di nome Nicola. In realtà è il vecchio portinaio della Chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, dove stanno quelli della sua regola, e il popolo del Rione Colonna lo acclama come santo. In questi giorni di gravi saccheggi e continue scorribande Roma non può permettersi di cadere in falsi miti e gratuite devozioni. Non è questo il modo giusto per riportare i pellegrini a Roma. Voi – e cominciò a battere il dito medio sulla cattedra – dovrete indagare sulla fama del frate Nicola e riferire a me in questo stesso ufficio, senza che il Segretario Apostolico si accorga di quanto stiamo facendo.
– Immagino che dovrò soggiornare fuori del Palazzo del Laterano per poter compiere la missione.
– Esatto, Nunzio. Claudio, il servo che vi aspetta qui fuori, è un giovane molto diligente, vi accompagnerà nelle stalle dove vi fornirà una palandrana scura un poco sgualcita. Spero non vi dispiacerà cambiarvi d'abito lì dove riposano i cavalli. D'altronde, proprio sotto il fiato di un bue e di un somaro è nato il Redentore. Per dormire alloggerete invece nella locanda di via del Moretto.
– Più sono logori i miei indumenti, più è felice la mia anima. Più è povera la mia casa, più è ricca la mia fede.
– Voi non siete un prete, siete un monaco!
– In origine era quella la mia vocazione ma mio padre mi impedì di entrare in convento...
– Se foste entrato in convento, non sareste qui ad aiutarmi. Che il Signore benedica vostro padre.
– Vostra Eminenza Reverendissima, vi ringrazio della stima che mi riservate e mi confermo vostro servo.
– Addio Nunzio.
Nunzio uscì dall'ufficio del Prefetto fingendo una sicumera che non gli apparteneva. Il servo Claudio, che lo attendeva fuori mangiando una mela, salutò il reverendo padre e gli chiese di seguirlo.
Nel lungo corridoio che dal Laterano porta alle prime scale, Nunzio fu internamente soverchiato dalle domande. Perché Carpegna gli aveva affidato un'ambasciata così singolare? Cosa voleva il Cardinale da quei poveri frati? Nello scendere la prima rampa di scale fu assalito da un ulteriore dubbio, quello di esser stato circuito. Nunzio temeva di esser diventato il delatore privato del Cardinale, magari per mandare al rogo quell'umile frate calabrese.
Era comunque contento di aver accettato l'incarico perché in questo modo avrebbe conosciuto Nicola e, nel caso, avrebbe potuto finanche aiutarlo, difenderlo, salvarlo.
Ma più di tutto egli doveva riverenza al Cardinale. Disubbidire significava tradire la Chiesa, la madre che amava di più al mondo.
Questo è solo un piccolo frammento del romanzo che vorrei scrivere ma che, nei fatti, non ho ancora scritto. "Nunzio, vobis" prenderebbe il largo dalla biografia del capracottese Nunzio Baccari - vescovo per nomina e papa per profezia - per raccontare lo scontro tra il cattolicesimo ufficiale e la religiosità popolare del primo XVIII secolo, quando l'ortodossia controriformistica, ormai ridondante, si infranse al muro del secolarismo, in una Roma sempre più lontana dalle grandi metropoli europee.
Francesco Mendozzi