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Per Elvira


Elvira Tirone Santilli
La scrittrice Elvira Santilli (1923-2013) fotografata dal nipote Franco Valente.

Lo scorso maggio si è spenta a Campobasso Elvira Tirone Santilli, una delle voci letterarie più significative del Novecento molisano. Elvira si è spenta serenamente come era vissuta. La sua lunga esistenza è stata ricca di affetti familiari, piena di successi professionali come docente, e di sinceri apprezzamenti per la qualità della sua attività culturale. Certo, come a ognuno di noi, non le erano mancati dolori, lutti e sofferenze, ma aveva  affrontato ogni ostacolo con fronte serena e passo lieve. Con lo stesso spirito aveva vissuto i bagliori e i capovolgimenti del Novecento, sforzandosi incessantemente di comprenderli, pur senza mollare la barra della coerenza e dell'intimo convincimento. Sta di fatto che in pieno 1968, in perfetta dissonanza con l'aria che tirava e le barricate materiali e ideologiche alzate in mezzo mondo, aveva dato alle stampe il suo primo romanzo, che con voce cristallina e scrittura piana affrontava un argomento di tutt'altro tenore, mettendo in scena un territorio ai più misconosciuto - Capracotta e l'Alto Molise - e un mondo di affetti percorso da problematiche familiari e scosso dai radicali mutamenti imposti dal travaglio bellico.

Nelle intense pagine di "Oltre la valle" (1968, III ristampa 1999) si coglieva il profondo, assoluto amore della protagonista per la natura e il suo paese natale, così come affiorava - elemento da non sottovalutare - l'atteggiamento distintivo di Elvira verso la vita e le cose, ovvero l'esigenza di far bene, ma con il dono del sorriso, del pizzico di ironia, che, oltre a stemperare i drammi e a condire la giornata, è sempre segno sicuro di intelligenza. Giunta alla svolta dei quarant'anni, lei  aveva avuto urgenza di narrare delle sue radici, di soffermarsi sul suo privato - inquadrato nella più vasta trama della storia  lungo le tappe più importanti del secolo, dagli albori del Fascismo fino alla ricostruzione del secondo dopoguerra - e lo ha fatto con grande onestà intellettuale. Dopo "Oltre la valle" la sua penna, grazie al suo «cervello a scacchi» non si è fermata più. In occasione del centenario della battaglia di Dogali ha appuntato la sua attenzione sul dramma vissuto allora dal prozio del marito Giovanni Tirone curando la riedizione delle lettere ("Un molisano a Dogali", 1987, ristampa 1988). Si è inoltrata in sentieri da lei quotidianamente praticati come docente, quando ha intavolato un colloquio con Belzebù, simbolo della nostra cattiva coscienza, quella che rende incapaci di affrontare le conseguenze delle nostre scelte ("A colloquio con Belzebù", 1991, Premio "Scopri l'Autore"). Nel 1996, riprendendo il mito di Aracne, ha esaminato il cammino muliebre verso il riconoscimento delle proprie attitudini nel romanzo "Il sentiero di Aracne". La raccolta poetica "L'ora dei sogni", dopo molti ripensamenti, perché Elvira rimaneva sempre con i piedi ben piantati per terra, e non presumeva di sé, finalmente ha visto la luce nel 2005. E poiché «vividi di luce, i richiami allo spirito guizzano come le minuscole stelle del cui palpito trema il silenzio cupo della notte» si è sentita sempre spronata alla conoscenza, dandone prova con i suoi meditati contributi sulla stampa, con il suo fattivo sostegno alle associazioni di cui ha fatto parte, come la Fidapa, di cui è stata presidente, con la sua presenza agli incontri culturali. Era anche un voler dire: "Ci sono...", ma negli ultimi tempi notavo con tristezza che, pur conservando  la figura snella e svelta di sempre, la massa dei capelli corvini un po' ribelli che la distingueva tra mille adesso era meno folta e sembrava troppo docile al pettine. Ci siamo conosciute nel 1969, quando, fresca di nomina come docente sono giunta all'Istituto Magistrale, e, sull'onda lunga del successo ottenuto da "Oltre la valle", volli leggerlo subito. Non mi è capitato spesso di acquistare svariate copie dello stesso libro, ma quella volta tornai in libreria per farne gradito dono a sorelle e amiche. Erano tanti i motivi che mi avevano affascinato dell'opera, e alcuni li espressi in una lettera (mi è più congeniale la penna della parola) alla collega Elvira; è nata così la nostra lunga amicizia, anche se ondivaga, perché diverse volte ci siamo perse di vista, ma ci siamo spesso ritrovate davanti a nuovi interessi da condividere o impegni da portare avanti. Nell'ultima nostra telefonata, io ero in partenza, aveva scherzato sul suo novantesimo compleanno, festeggiato nell'affetto della numerosa parentela.

Per attutire il cocente rammarico di non averla potuta accompagnare all'ultima dimora, ho ripreso in mano qualcuna delle sue poesie. Che dire? Mi hanno avvolta le immagini della madre giovinetta, le lucciole della sua infanzia, il suo orgoglio di madre, il suo affetto per i morti di tutte le guerre civili, il gentile ricordo della suocera, e ogni pagina, illuminando un angolo del suo prezioso scrigno segreto, mi ha restituito Elvira, rivelandomi, grazie alla ricchezza del suo sentire, i tanti fili che tessono la trama dorata del suo canto sommesso e palpitante.


Rita Frattolillo

 
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