Un piatto che racconta l'immensa civiltà del Molise e una delle memorie più nobili del Paese, perché la Pezzata è vivida testimonianza della pratica della transumanza, quegli epici spostamenti di bestiame che seguivano i dettami delle stagioni e quindi della disponibilità dei pascoli, con uomini e animali uniti e sodali nella lotta per la sopravvivenza.
Tragitti lunghi e faticosi che avvenivano lungo i tratturi, percorsi agresti tracciati dal passaggio delle bestie di cui è ricco il Molise, nel suo essere passaggio obbligato tra Abruzzo e Puglia, regioni unite da questa antica tradizione dell'allevamento.
La Pezzata era il modo di rimediare a un danno, traducendolo in risorsa, come accade sempre nella civiltà agro-pastorale: essendo inevitabile che durante gli spostamenti qualche animale avesse un incidente, magari rimanendo zoppo e quindi non più in grado di muoversi, ecco intervenire il pragmatismo, trasformando la bestia infortunata in cibo di sussistenza.
Con lo scorrere del tempo la ricetta si è concentrata sulla carne di pecora, consolidandosi nel piccolo centro montano di Capracotta, in provincia di Isernia, diventandone la preparazione identitaria, tanto da essere oggetto di una manifestazione popolare a essa dedicata nel mese di agosto.
Vista la sacralità di una simile pietanza, siamo andati a farcela raccontare nel tempio della ristorazione storica molisana, il ristorante tipico L'Elfo che si trova proprio a Capracotta, in via Campanelli.
Qui è custodita e riproposta con immenso amore e dedizione da Michele Sozio, eroe della cultura gastronomica italiana, il quale ce ne ha parlato davanti alla telecamera.
Si tratta di una delle più grandi delizie del mondo, con una carne che fa esplodere gioia sul palato e un brodo strepitoso, un insieme di grande semplicità ma immensa soddisfazione, tale da commuovere.
Michele, nel locale gestito con la moglie Franca, ne prepara una versione irresistibile, una delizia che tutti dovrebbero provare nella vita. «Questa pietanza appartiene alla tradizione della transumanza, durante la quale quando una pecora subiva un incidente e non poteva proseguire il cammino, veniva sacrificata, ovvero dopo essere stata macellata e depezzata la si cuoceva in un capiente caldaio coperto con un pezza», spiega Sozio: «nel nostro ristorante siamo soliti usare per questa preparazione bocconcini ricavati da cosce e spalle disossate e non tutto l'animale, al fine di rendere la preparazione meno grassa ma altrettanto appetitosa».
Domenico Liggeri
Fonte: http://www.storienogastronomiche.it/, 17 dicembre 2018.
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