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Ricordando don Orlando Di Tella


La chiesa rupestre di S. Salvatore a Pietracupa (foto: F. Valente).

Quando un amico se ne va cerchiamo di fissare nella nostra mente l'ultimo momento in cui gli abbiamo parlato o lo abbiamo visto.

È un fatto naturale cercare di rompere le regole naturali e immaginare che il tempo non esista. È una sorta di reazione teologica alla paura dell'eternità assoluta.

Ricordare gli amici  dopo la loro scomparsa è uno degli aspetti di quell'eternità relativa che appartiene a tutti noi. Mi piaceva ragionare con don Orlando di queste cose ogni tanto. Quando lo incontravo in giro per il Molise, ma soprattutto nella sua grotta di Pietracupa.

Per me don Orlando era uno dei preti di famiglia perché la casa di suo padre fornaio aveva un muro in comune con la casa di mio nonno a Capracotta e in famiglia si raccontavano sempre quelle storie di amicizia che fanno la storia delle nostre comunità. Specialmente se quel muro è fonte di calore in un paese dove il freddo la fa da padrone.

Don Orlando era uno di quei preti che ti metteva a tuo agio perché non era fondamentalista nella sua logica teologica e dialogava ribaltando su chi gli stava di fronte il suo punto di osservazione. Così, quando Mario Bergoglio divenne papa, ebbi la tentazione di telefonargli per  dirgli che la sua Chiesa ora aveva un Padre che gli assomigliava. Nel modo di muoversi e nel modo di ragionare.

Per questo suo modo di porre la storia degli altri al centro della sua storia era convinto che anche gli altri ragionassero come lui e che l'apparato burocratico, al quale doveva necessariamente rivolgersi per compiere la sua missione, facesse parte di quel disegno divino nel processo di salvezza dell'uomo. E allora, con la rassegnazione di chi è consapevole di essere dalla parte della verità, si è fatto carico di sofferenze di cui Dio terrà conto nel giorno del grande Giudizio.

L'ho visto all'indomani del suo ottantesimo compleanno, forte e radioso come una roccia di Monte Campo. L'ho sentito parlare della morte e dell'eternità come se fosse la naturale conseguenza dell'essere in vita.

L'ho sentito entusiasta quando, inchiodato nel letto del S. Camillo a Roma, gli comunicavo che dentro sua chiesa rupestre di S. Salvatore a Pietracupa continuava a raccogliersi la comunità di cui era pastore.

Tanta gente avvertiva che lo spirito di don Orlando riempiva quella grotta naturale che per lui non era solo uno spazio liturgico, ma anche il grande ventre della Madre di Dio da cui tutto aveva origine e al quale aspirava a ritornare.


Franco Valente

 

Fonte: https://www.francovalente.it/, 27 agosto 2014.

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