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Storia di un internato capracottese nel manicomio di Reggio Emilia


Il manicomio S. Lazzaro di Reggio Emilia in una cartolina d'epoca.

Amatonicola venne al mondo il 18 aprile 1857 a Capracotta. A farlo nascere fu la levatrice Concetta Policella, che aiutò Agata Sozio a partorire un bel maschietto, orgoglio del padre Vincenzo, di professione «bastiere», come quasi tutti i Monaco originari di Capracotta.

Amatonicola, però, non era come tutti gli altri ragazzini. I genitori se ne dovettero accorger presto, tant'è che invece di avviarlo al mestiere di famiglia - costruire basti era un lavoro specialistico - venne affidato ai pastori di Capracotta affinché diventasse uno di loro. Quello del garzone era il lavoro meno pagato in assoluto, ma perlomeno ci si liberava per buona parte dell'anno di una bocca da sfamare. Non erano belli i tempi andati, si proveniva da secoli di povertà ed arretratezza, i rapporti umani erano duri e crudi, non esistevano coccole e moine, vi erà pietas ma non pietà, men che meno quelle di un padre verso il figlio. Chi dice che si stava meglio prima è semplicemente un ingenuo. O un imbecille.

Fatto sta che Amatonicola era sempre triste, di una tristezza morbosa e ostinata, indipendente dagli accadimenti esterni, era smaccatamente pessimista, perennemente sfiduciato, per non dire paralizzato: il mondo lo avviliva. Ogni manifestazione od impressione gli riusciva spiacevole e i pensieri giravano in cerchio, uno si sedimentava sull'altro e si facevano cupi ed ossessivi, finché nella sua testa cominciarono a germogliare idee deliranti. Un senso di colpa misto a vergogna di miseria, un desiderio di rovina unito al bisogno di dannazione.

Nel 1883 Amatonicola si ritrovò chissà come a Modena. Quella povera cittadina agricola divenne allora lo scenario ideale della sua follia: in preda ad un raptus Amatonicola vestì i panni dell'assassino. Le forze dell'ordine lo arrestarono quasi subito e lo condannarono a una lunga detenzione in carcere. Ma, proprio come Agata e Vincenzo tanti anni prima, anche i secondini si accorsero presto che Amatonicola non era un omicida come gli altri, per cui l'8 agosto 1884, dopo avero cominciato a sbattere la testa contro il muro ed aver tentato di lanciare contro un altro recluso un vaso da notte, venne trasferito nel manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia.

In quella struttura esisteva una differenza tra i «rei folli» e i «folli rei». La discrepanza sembrerebbe oggi una questione di lana caprina ma in verità i primi erano coloro che avevano commesso reati e che durante la detenzione in carcere avevano manifestato i sintomi di malattie mentali, per cui venivano trasferiti in ospedale psichiatrico. I secondi erano invece coloro che avevano commesso un reato in stato di mancanza di lucidità mentale ed erano pertanto prosciolti, per cui non venivano inviati in carcere, ma subito in manicomio.


L'interno dell'ex ospedale psichiatrico, oggi museo della psichiatria.

Amatonicola rientrava nella prima fattispecie, quella dei «rei folli». Egli manifestò atteggiamenti violenti ed era solito minacciare tutti, temendo inoltre «di essere un pederasta passivo». Le autorità sanitarie del San Lazzaro gli diagnosticarono una «lipemania di persecuzione allucinatoria con eccessi di agitazione». Durante la degenza i medici scrissero di lui:

25 agosto 1884 - Questa mattina è ricaduto nel suo solito mutismo. Non risponde a ciò che gli si domanda e si limita a fissare il suo interlocutore con un atteggiamento da imbecille, ma che ha molto del simulato. Quando gli si porta da mangiare egli si rifiuta e mostra coi gesti il desiderio d'essere imboccato. Però se gli si lascia il cibo nella stanza, dopo qualche tempo mangia spontaneamente.
26 agosto 1884 - Sempre nello stesso stato. Passa tutto il giorno nella sua cella col corpetto di forza, ma senza essere assicurato. Ora passeggia per la stanza, ora se ne sta sdraiato sopra il letto, sempre muto. Quando si entra in cella egli fa prova di volere uscire, ma non oppone alcuna resistenza a chi glielo impedisce.
27 agosto 1884 - Questa mattina si mostra abbastanza disinvolto. Iersera incominciò a parlare e diceva che sentiva delle calunnie che gli venivano indirizzate dagli infermieri e da altre persone che non vedeva.

I medici che lo ebbero in cura annotarono che, a causa delle allucinazioni, Amatonicola pensava di essere troppo magro, ed invece era piuttosto grassottello; inoltre riteneva che gli venissero somministrati strani medicinali assieme al cibo, in particolare il «magnetizzo», un nome che non corrispondeva ad alcun farmaco, essendo frutto del suo delirio.

12 settembre 1884 - Domanda di essere sciolto e dice: «È vero che non sono stato pazzo? Le cose che ho fatto l'altro ieri è stato effetto di magnetizzo che mi hanno dato gli infermieri con una bevanda».
1 luglio 1885 - Il malato in questi ultimi giorni si è mostrato malinconico e stravagante. Anche oggi perché gridava e smaniava mentre era all'aperto fra gli altri si è dovuto subito condurre in camera. Si lamenta perché gli viene somministrato tanto magnetizzo nei cibi da fargli dolere persino la schiena. Con tono desolato dice che è molto dimagrito e mal ridotto, mentre è grasso e sta fisicamente bene in modo perfetto.
20 settembre 1885 - Continua nello stesso stato. Si notano due cose, ora non chiede più di ottenere una purga, né parla mai di magnetizzo.

Cosa ne fu di Amatonicola non è dato sapere. Era un pazzo, un violento, un assassino, ma era uno di noi.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • E. Arduini et al., I "rei folli", in AA.VV., Uno sguardo al passato: un tuffo dentro al San Lazzaro, Liceo delle Scienze umane "Matilde di Canossa", Reggio Emilia 2019;

  • E. Ferri, Il rimorso nei delinquenti, in «Archivio di Psichiatria, Scienze penali ed Antropologia criminale, V:1, Bocca, Torino 1884;

  • E. Lugaro e E. Tanzi, Melancolia, in Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, libro VIII, Treccani, Roma 1934;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016.

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