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Sui premi letterari


Lo scrittore Luca Canali (1925-2014).

Ogni anno, fra estate e primi d'autunno, una galassia di premi letterari, e, puntualmente e inutile essa stessa, la polemica sulla inutilità di essi. La proliferazione dei premi corrisponde al cosiddetto "decentramento" di tutto: aumentano i comuni e le province; si suddividono in due, in quattro etc. le cattedre universitarie; perché non dovrebbero moltiplicarsi i premi letterari, i quali dopo tutto non danneggiano nessuno? Si dice: ma questi premi sono mistificati, pilotati dall'esterno, cioè da interessi che con la buona letteratura non hanno niente a che fare. E l'accusa è fortemente motivata.

Ma forse non sono mistificati e pilotati dall'esterno i concorsi pubblici, e quelli a cattedre universitarie, e le aste per appalti, e talvolta persino le competizioni canore, musicali, sportive, e le gare di bellezza? Ma qui vi sono eccezioni, si dirà ancora. È difficile dirlo. Anche tra i premi letterari vi sono quelli "puliti". Un nome? Il Comisso-Treviso, forse. Ma potrei sbagliare.

Ma l'aspetto più riprovevole dei premi letterari, consiste nell'unilateralità preconcetta di molti "giudici" che vanno alle riunioni con uno o due titoli in testa - perlopiù dettati da semiclandestini interessi personali o di clan - senza aver letto neanche la decima parte degli altri libri in gara.

Certo i "grandi" premi nazionali, lo Strega, il Viareggio, il Campiello risentono fortemente - pur con la presenza di giurie popolari accanto a quelle tecniche - della pressione esterna delle case editrici. Ma ciò è inevitabile. Certo, lo Strega non riuscì a premiare Pasolini, cui venne preposto Bevilacqua, né Samonà sul quale ebbe la meglio Camon, ma Bevilacqua è uno scrittore professionista e "dismesso", che non merita certo la croce che ora è di moda buttargli addosso, e Camon narratore di tutto rispetto. In ogni caso l'annuario dello Strega è un elenco dei nomi più significativi delle lettere italiane degli ultimi quarant'anni. È vero, il Viareggio premiò ex aequo, per la poesia, Penna e Pasolini, che avrebbero meritato ben altro che un "premio Viareggio dimezzato" per ciascuno; e un paio d'anni fa, tra i due "partiti" dei giurati (uno per Malerba, l'altro per Jaeggy) spuntò come compromesso il nome d'una signora vincitrice di cui nessuno ricorda più il nome (forse, Adorno, mi sembra). Ma anche il Viareggio ha molte glorie letterarie e poetiche nei suoi venerabili annali. Semmai è possibile muovere questa critica ai premi: essi non premiano quasi mai i libri migliori dell'anno, ma soltanto i più decenti.

Merito delle grandi e piccole giurie? Forse no: probabilmente "merito" delle case editrici più potenti che, in quanto tali, si assicurano la pubblicazione dei "più decenti" o addirittura "migliori" narratori e poeti. Condurli per mano alla "vittoria" diventa poi un gioco da bambini.

Vanno bene le cose in questo modo? No certo, non vanno bene. Ma fintantoché i grandi editori ingaggeranno gli scrittori più validi, o più richiesti dal pubblico (per i quali ci sarà poi il premio Bancarella), sarà difficile per gli editori medi e piccoli vincere i premi: a parte qualche esordio fortunato. È lo stesso discorso delle squadre di calcio: si può contestare lo scudetto del Milan perché si è assicurato per decine di miliardi i migliori giocatori sul mercato europeo, dall'implacabile e scostante Van Basten, al gentile e terribile ma sfortunato Ruud Gullit?

Nel rapporto domanda-offerta attorno al quale ruota l'intera nostra società, questa è - e non può essere altra - la condizione delle patrie lettere e dei letterati: pena l'emarginazione, il danno e talvolta anche le beffe.

Non sono più i tempi, del resto, nei quali, alle feste Dionisie, Euripide risultò due volte vincitore da vivo e tre da morto con opere postume; e neanche quelli di Petrarca premiato due volte con la corona poetica, da Parigi e da Roma, ma prima esaminato severamente per tre giorni consecutivi da Roberto d’Angiò in Campidoglio.

Fuori d'Italia le cose non vanno molto diversamente. Il premio Nobel per esempio. Moravia è morto senza riceverlo, e lo avevano avuto Mahfuz, poi Cela, due dignitosi narratori a lui di gran lunga inferiori. Anche Luzi, Giudici e Zanzotto lo avrebbero meritato, forse più del cecoslovacco Seifert o del russo Brodskij: ma - ragion di Stato - essi non erano nella primavera di Praga né nel lungo elenco degli esuli dall'inferno staliniano.

Non scandalizziamoci. È politica, e la politica conta. Non ricordo chi disse: la politica è come le fogne: risulta nauseante, ma necessaria.

Ma allora non scandalizziamoci neanche per lo Strega e il Viareggio, e tanto meno per il Roccasecca o il Capracotta.

Un discorso a parte meriterebbero il Fiuggi e il Fregene o il Tevere: ma sarebbe troppo lungo e deprimente farlo qui e ora.


Luca Canali

 

Fonte: L. Canali, La dismisura: strafare, malfare, divagazioni, antidoti, Bompiani, Milano 1992.

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