
Voglio raccontarvi la storia vera, senza troppe pretese, del mio pranzo in una località di montagna, Capracotta, nella bizzosa e afosa estate di questo Duemilaventuno.
Di me, intento a mangiare la mia tagliatella al sugo.
E di lei, una donna anziana, molto anziana, seduta da sola in un cantuccio, vestita di nero, a scrutare dalla finestra la calura e il tempo che passava.
Movimenti cadenzati del busto, mani che ogni tanto sembravano voler afferrare dall'aria qualcosa di invisibile. Era del posto, la vecchietta. Forse quel ristorante è stato il suo regno per tanti anni, e ora se lo godeva in silenzio, nell'ultima parte dei suoi anni.
A un certo punto si è alzata, e ha cominciato a camminare a piccolissimi passi, compiendo sempre lo stesso giro silenzioso nelle ampie stanze del locale. Una sosta breve vicino alla cucina, e poi di nuovo a camminare, schivando sedie e tavoli, tovaglie e cameriere consapevole.
Di nuovo seduta al posto suo, per alcuni minuti, a sgranare rosari immaginari.
E ancora in piedi, a rifarsi lentamente decine di metri, aiutandosi ora con un bastone, ora senza.
Stavo terminando il secondo piatto, quando, a un tratto, l'anziana donna è uscita dal routinario tragitto che la impegnava da oltre mezz'ora, e si è avvicinata al mio tavolo.
Ha guardato uno per uno i commensali vicino a me, spostandosi con garbata lentezza. Poi ha scelto me.
Ha fatto tre passi, arrivandomi a una ventina di centimetri dal viso. E con un filo di voce mi ha detto:
– Damm' nu bacio.
E io gliel'ho dato. Gliene ho dati due. I commensali vicini hanno mescolato risate ad "ooohhhh" di tenerezza.
Lei è andata via, riprendendo il suo vagare tra tavoli ed umanità varia.
Io invece sono arrossito, molto più del dovuto, e ho finito la salsiccia nel piatto.
E così finisce la storia vera, senza troppe pretese, di un pranzo in una località di montagna, nella afosa estate del Duemilaventuno.
Carmine Criacci