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Viaggio


Il pranzo a Guado Cannavina.

Il viaggio inizia la mattina presto con un tempo piovigginoso. La mèta, quella terra immacolata tra l'Abruzzo e il Molise dove l'occupazione di suolo pubblico è quasi uguale a zero, case isolate, piccoli agriturismi, qualche stalla e il resto prati, boschi e nello sfondo le montagne appena innevate.

Con l'amico Leo, in un piccolo fuoristrada portando le mascherine nell'abitacolo per il massimo della precauzione per due vaccinati, arriviamo a Giuliopoli, frazione di Rosello, e ci fermiamo al bar per la colazione. Caffè, dolcetto, caramelle al timo di Fara San Martino, una simpatica ragazza contenta di stare lì e di raccontarci qualcosa del posto in cui vive. E come accade in ogni viaggio, nel parlare con lei iniziano gli arricchimenti della mente che ci vengono donati come regali preziosi.

Scopro, con qualche brivido nella schiena, che Estote, un personaggio raro, un cuoco viaggiatore che ho descritto in un mio racconto, chiamandolo così perché non ne ricordavo il nome, si chiamava Quintino. Me lo dice ora la ragazza e ricordo ancora l'incontro avuto con lui quaranta anni fa, e la sua lunga narrazione di cuoco che ha girato il mondo.

Tentiamo una sosta all'abetina di Rosello per raccogliere funghi ma aumenta la pioggia e risaliamo velocemente in macchina tra gli odori di bagnato, per cercare un posto fuori della nuvola che insiste sulle nostre teste.

Ad un certo punto, come in tutti i veri viaggi, oltrepassiamo la nuvola e le cose cambiano repentinamente: il cielo esplode nel blu e tra il pulviscolo di goccioline appare l'arcobaleno che ci dice che il tempo ci è amico. Togliamo le mascherine, apriamo i finestrini e giriamo per prati e boschi, tra Rosello, Borrello, Pescopennataro, fermandoci in tutti i punti dove scorgiamo funghi o luoghi idonei per la loro crescita.

Le tappe nel viaggio sono fondamentali per godere di ciò che il nostro sguardo vede, per incontrare persone, per parlarci, per incontrare funghi e novità. Prendiamo funghi persino su una scarpata di un camposanto, un bel gruppo di lapacendri sotto una statua di padre Pio: come fare a non credere ai miracoli?

Intanto comincia un languorino allo stomaco e ci avviciniamo a Guado Liscia in pieno Molise. Accade che scopriamo un nuovo mondo col paesaggio che si dilata alla nostra vista perdendosi nei cocuzzoli molisani dove si arroccano antichi paesi. Adesso la sosta la facciamo per guardare, basta così.

Ma lo stomaco borbotta! Prendiamo la strada per Capracotta e ci fermiamo a Guado Cannavina, due case, una stalla, un agriturismo dove ci hanno detto si mangia bene.

All'ingresso un campo di cavolfiori che sembrano essere lì piantati da secoli; le piantine sono state piantate in anticipo, già a giugno, a quella altitudine bisogna piantare subito se no li becca la neve, e ora trionfano nell'orto. Entriamo nel ristorante, nella sala due persone e il caminetto acceso.

Ho un presentimento!

Arriva il cuoco-cameriere-tuttofare, ci chiede il green pass, ci fa accomodare e ci guardiamo! La voce la conosco, ci leviamo le mascherine ed ecco Felice, mio ex alunno all'alberghiero di Villa Santa Maria, i bei tempi passati, lui ragazzino io insegnante baldanzoso, fai tu, facci mangiare la tua terra: sagne a pezzi al sugo di agnello, gnocchi appena fatti. Leo si avvicina al caminetto e contribuisce alla cottura perfetta della grigliata di agnello, abbruschia i peperoncini per insaporire i nostri piatti, i cavolfiori lì fuori sono i nostri contorni, il pane cotto degli osci. Vino Moltepulciano con le ostie dolci molisane, il caffè e la genziana.

Intanto arrivano due avventori toscani e con le altre due persone presenti chiacchieriamo di funghi. Il costo del pranzo non ve lo dico, mi vergogno di aver pagato così poco. Un saluto a Felice, con la promessa di rivederci, e come in tutti viaggi iniziamo il ritorno.

Allunghiamo il giro per passare a Monteferrante e bere alla fontana l'acqua più buona del mondo e poi a Roio del Sangro che comincia a far notte, tra pecore, capre, cani pastore abruzzesi, un pastore rumeno che ride sempre di buon gusto con una bocca con pochi denti e un giovane pastore albanese che sembra uno studente universitario.

Si fa notte ma Leo è irremovibile, andiamo a cogliere le mele paradiso lungo la strada che porta a Valle Amara. Sale sull'albero, l'unico rimasto con le mele ancora sui rami e come una scimmia li scuote provocando una pioggia di mele sul prato, le mele paradiso, quelle antiche che sono solo lì, solo in quei posti, ne sgranocchiamo qualcuna, prestigioso cibo da viaggio, le altre le mettiamo in una sacchetta, in questa giornata spesa per viaggiare.

Intanto annotta.


Gino Primavera

 

Fonte: https://www.facebook.com/, 27 novembre 2021.

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