VIRGILIO JUAN
CASTIGLIONE
GARE DI SCI A CAPRACOTTA
Istituto Nazionae Luce (1929)
"Gare di sci a Capracotta"
GARE DI SCI A CAPRACOTTA
Istituto Nazionae Luce (1929)
"Gare di sci a Capracotta"
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
VIRGILIO JUAN
CASTIGLIONE
Le arie popolari musicate da artisti capracottesi
NUNZIO
BACCARI
(1666-1738)
ALFONSO
FALCONI
ALFONSO
FALCONI
ALFONSO
FALCONI
NUNZIO
BACCARI
(1666-1738)
EUGENIO CORTI
(Besana in Brianza, 21 gennaio 1921 - 4 febbraio 2014)
Scrittore
Sulla montagna di Capracotta, coperta da una sterminata foresta d'abeti, capitammo quasi in mezzo a un gruppo d'ex prigionieri neozelandesi. Seduti in circolo per terra, alla nostra apparizione essi erano balzati in piedi, e s'erano dati alla fuga in un tintinnio di gavette. A nostra volta noi due eravamo balzati indietro, con un tuffo al cuore per il colore intravisto delle divise, e per quel suono; poi ci eravamo messi a cercarli con pungente curiosità. C'era in mezzo agli abeti una decrepita costruzione vagamente somigliante a una chiesuola: si trattava della cella di un romito d'altri tempi; notammo che dal suo comignolo usciva un po' di fumo. Là doveva trovarsi la base degli ex prigionieri: che infatti vi si erano rifugiati. Entrando ilari, cercammo di rassicurarli; io affermai, prima in italiano, poi in francese, che quanto a fughe era inutile si adoperassero a darmi dimostrazioni, perché ero troppo bravo per conto mio. Non sembrarono capire una sola parola. Mostrammo allora - indicandolo sulla cartina - il punto più vicino cui, stando alla radio, erano arrivate le loro truppe. Guardavano in silenzio sia noi che la cartina: si sarebbe detto che non capissero nemmeno questo. Avevano tutti un aspetto dignitoso e insieme mediocre, tanto che alla fine ci meravigliammo quando uno di loro, ringraziandoci per le notizie nel suo a noi incomprensibile idioma, usò un tono che tutto sommato sembrava di degnazione.
– Che modi... – borbottai io.
– Se è per correggere l'impressione della loro fuga di poco fa, mi sembrano un po' eccessivi – disse Antonio. – Ma forse, più semplicemente, non si fidano di nessuno, e ogni incontro li preoccupa.
– Tutto considerato è gente più sprovveduta di noi – conclusi.
Venimmo via dal romitorio abbastanza perplessi. A Pretoro ci era stato detto che essendo il paese di Capracotta (costruito sulla parte più alta e meglio esposta del monte) un luogo di villeggiatura, vi avremmo trovato degli alberghi in cui far sosta. Dei luoghi di villeggiatura aveva infatti - quanto mai inattuale in quei giorni - l'aspetto variopinto e spensierato. Per non molto tempo ancora: perché i tedeschi l'avrebbero incluso nella fascia di terra bruciata antistante le loro linee invernali, e nel giro di qualche mese delle sue case non sarebbe rimasta pietra su pietra. Ma uno, due, tre albergatori (i quali allora ospitavano molti sfollati, e facevano quindi, nonostante tutto, buoni affari) si rifiutarono nonché d'accoglierci come normali clienti, perfino di parlarci. L'ultimo - quasi spaventato dalla nostra apparizione che gli richiamava la sgradevole realtà - addirittura si provò a sgridarci. Gliene togliemmo rapidamente la voglia, ma:
– Sono meglio i contadini – risolvemmo: – Non ha niente a che fare con noi questo stupido ambiente di struzzi.
Era, quel luogo alla moda, simile a un viso allegro dipinto su un cartellone pubblicitario: il quale continua a sorridere anche quando le crepe cominciano a spaccarlo e va in pezzi: derisore insieme fatuo e drammatico di se stesso. Scendemmo nella parte più bassa, non turistica, del paese, dove le casette molisane erano come dovunque. Fummo ospitati in cucina, nella quale ci stendemmo a dormire sul pavimento. Purtroppo vi regnava un'opprimente sporcizia; le mosche tappezzavano i muri e i soffitti, e ce ne caddero in faccia a manate mentre cercavamo d'addormentarci; ci assalirono anche le pulci e, ancora più ripugnanti, le cimici, con le loro dolorose punture. Nel locale accanto un maiale ogni poco grugniva:
– Sarà perché gli insetti impediscono di dormire anche a lui, povero animale.
Non scherzosamente tuttavia finimmo col prendere la cosa quella sera: ci irritammo, e arrivammo a bisticciare per gli strappi che l'uno o l'altro dava alla sordida coperta allorché gli insetti più lo tormentavano. Riuscimmo ad addormentarci solo perché avevamo molto bisogno di dormire; ma venuta l'alba, ci immergemmo al più presto nell'aria fresca della montagna come in un lavacro, lasciandoci indietro, con sdegno, l'inospitale paese tra gli abeti.
-
E. Corti, Gli ultimi soldati del re, Ares, Milano 1994, pp. 69-71.