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GIANDOMENICO FALCONI

(Capracotta, 4 agosto 1810 - 25 dicembre 1862)

Vescovo di ​Altamura-Acquaviva delle Fonti

Monsignor Falconi, direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini. Alto e vigoroso della persona, egli era nativo di Capracotta; ed essendo stato, per alcuni anni, segretario dell'arcivescovo Clary a Bari, aveva rivendicata la palatinità delle chiese di Acquaviva e Altamura e ne aveva ottenuto titolo di arciprete mitrato e giurisdizione episcopale: beneficio, che gli fruttava circa seimila ducati l'anno. Era fratello del procuratore generale Falconi, e zio dell'attuale deputato e sottosegretario di Stato per la giustizia. Tanta fiducia riponeva in lui Ferdinando II, che volle pernottare ad Acquaviva, ad ogni costo, nel palazzo dell'arciprete, non in quello che fu di casa Mari, e passò poi in possesso di don Sante Alberotanza. Nel palazzo di don Sante alloggiarono Murena, Bianchini ed altri del seguito e vi stettero assai a disagio. Il principe e la principessa della Scaletta furono obbligati a passare la lunga notte in veglia, tanti erano gl'insetti che popolavano la camera loro destinata. Il Re apparve a tutti dimagrito e invecchiato. Al pranzo dei Sovrani provvide la cucina reale; agli altri, molto suntuosamente, monsignor Falconi, che aveva un ottimo cuoco. Il vino fu offerto da don Girolamo Jacobellis, il quale, prima di consegnarlo, lo assaggiò alla presenza di molti, forse per eccesso di prudenza; ma il vino servì al seguito, non alla famiglia reale. Il Re si ritirò quasi subito con la Regina, nella sua camera da letto. Il solaio di questa, essendo poggiato su travi perché malsicuro, era stato fatto da monsignor Falconi puntellare. La mattina del 13, Ferdinando II si levò di buon'ora, e dopo di avere atteso agli affari della provincia e del circondario, accolse gli omaggi delle autorità, del clero e dei maggiorenti e diede pubblica udienza. Molte furono le suppliche presentate; Acquaviva rigurgitava di forestieri. V'erano convenute le guardie d'onore del circondario, i sindaci e i decurioni dei comuni vicini. La piazza, che separa l'episcopio dalla chiesa, era brulicante di popolo, e gremiti i balconi, le finestre e le terrazze. Tutti sventolavano fazzoletti e bandiere e applaudivano al Re, che, alle dieci, uscì dal palazzo vescovile, insieme con la Regina e coi principi reali e si recò, a piedi, alla vicina chiesa cattedrale. A una povera donna, che lo richiedeva di elemosina, fece largire trenta ducati. Alla porta della chiesa le guardie d'onore e le urbane facevano ala e, sull'ingresso, aspettava monsignor Falconi, circondato dal capitolo. Prima di benedire la famiglia reale con l'acqua santa, monsignore pronunziò un discorso, che, per le strane iperboli contenutevi, merita essere esumato. Con citazioni delle sacre carte, il prelato cominciò dal delineare la figura del vero Re, immagine di Dio in terra, e poiché tutte le virtù, che debbono adornare un Re, egli rinveniva, in grado eminente, in Ferdinando II, la cui gloria è esaltata dalle prime intelligenze europee, così chiudeva la sua concione: «Sì, o Sire, d'oggi innanzi pregheremo ancor più; e pregheremo Dio che vi conservi lunga serie di anni alla sua Divina gloria, all'amore de' vostri popoli, che vi amano, e vi amano di cuore, ed alle delizie della Vostra Famiglia. Pregheremo che tenga lungi da voi ogni generazione di amarezze: che vi dia giorni sereni e tranquilli, e che compia ogni vostro desiderio, ch'essendo desiderio di padre, e di padre il più pio, il più giusto, il più tenero de' suoi figli, non può non essere accetto e caro a lui, Re dei Re, Sole di giustizia, Padre primo dei popoli tutti della terra. Pregheremo infine che vi colmi di ogni maniera di grazie con cotesta fulgidissima Stella che allato vi splende, esempio anch'Ella di virtù preclarissimo, e col principe ereditario, erede veramente dell'ingegno e della pietà, della giustizia e degli altri pregi di mente e di cuore del apdre, e cogli altri Reali principi e principesse». Dopo il sermone, che il Re ascoltò in piedi sulla soglia, preceduti da monsignor Falconi, gli augusti viaggiatori entrarono nella chiesa, prendendo posto presso l'altar maggiore. Dopo il canto del Domine salvum fac regem, l'arciprete invitò il Re a prender possesso dello stallo canonicale che, come prima dignità del capitolo, gli spettava nelle chiese palatine. Compiuta la cerimonia del possesso, la famiglia reale si recò ad ascoltare la messa, detta dallo stesso prelato nella cappella della Vergine delle Grazie.

  • R. De Cesare, La fine di un Regno, vol. I, Lapi, Città di Castello 1900, pp. 370-372.

Nacque in Capracotta da Martire e Maria Giuseppa Campanelli, il 4 agosto 1810; ed abbracciò la carriera ecclesiastica. [...] La rivoluzione del 1860 afflisse profondamente mons. Falconi, anche perché i liberali non mancarono di sollecitarne dal governo il trasferimento, addebitandogli soprusi e maneggi in parte veri, in parte immaginarii. Il governo di Liborio Romano non lo molestò, né molestie ebbe a patire dalla Luogotenenza e dal governo italiano; ma l'uomo, benché ancor fresco e vegeto, era finito, e caduta la monarchia borbonica non sopravvisse che poco tempo. Morì in Capracotta - dove erasi stabilmente ritirato - il 25 dicembre 1862, ed ebbe sepoltura nella Chiesa madre.

  • G. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, vol. III, Di Mauro, Cava de' Tirreni 1952, pp. 153-154.

Continuando nei ricordi scolastici attivi, nell'anno 1852 andai ad insegnare filosofia nel Seminario di Altamura, colà invitato da mons. Falconi, uomo di valore per molte lodevoli iniziative, ma assai incostante ed altezzoso. L'invito avvenne per questa circostanza: nel gran Seminario di Napoli si sosteneva una pubblica prova in filosofia da un giovane prete ben istruito dal dotto Sanseverino. Vi assistevano parecchi vescovi, oltre la cardinale di Napoli: tra i vescovi era mons. Falconi. In una delle discussioni presi la parola [e, giovane ancora] - a parte vanità - [mi feci] molto onore. Io non conoscevo il Falconi. Il giorno seguente egli si informò della mia abitazione; mandò a chiamarmi, per invitarmi ad andare nel suo Seminario a insegnare filosofia. A lui manifestai le mie condizioni rispetto alla polizia. Replicò che se sorgevano difficoltà, era in grado di superarle. Rispettato [come era] dal governo lui ed il suo fratello avvocato generale Falconi - in casa del quale Monsignore stava -, s'intendeva che i miei imbarazzi polizieschi valevano zero. Io, dunque, accettai, e partii da Napoli dopo un mese per Altamura, viaggiando in carrozza otto giorni di continuo. Non vi era [la] ferrovia, odiata dal Borbone, perché affrettava la rivoluzione. Potei rimanere un anno in Altamura. Se il mio insegnamento piaceva, non piaceva a Monsignore il mio carattere indipendente.

  • B. Labanca, Ricordi autobiografici - Il mio testamento, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pp. 53-54.

Durante il suo esilio nella natia Capracotta, mons. Falconi non perse affatto il suo spirito battagliero e la sua tenacia nel difendere i diritti della Chiesa. Infatti nel Venerdì Santo del 1861 fece pubblicare una Lettera Pastorale sul giornale "L'Unità Cattolica" nella quale ribadiva le sue convinzioni e vagheggiava un suo futuro ritorno nella sua Diocesi. Questa lettera non passò inosservata e sicuramente ebbe un'eco talmente ampia che lo schieramento avversario, forse spaventato dai possibili effetti che poteva sortire, si sentì in dovere di reagire con uno scritto particolarmente aggressivo, offensivo e ironico dal titolo "Alla sedicente lettera pastorale del prelato d. Giandomenico Falconi". Questo scritto, composto da ben ventidue pagine, risulta anonimo e volutamente riporta come luogo di stampa non una città bensì la dicitura Italia 1861 per sottolineare la nuova realtà statuale a cui mons. Falconi si opponeva. Probabilmente, a motive delle forbite citazioni bibliche, tra gli autori c'era anche qualche prete legato agli ambienti liberali.

  • L. Rotolo, La vicenda di mons. Giandomenico Falconi prelato di Acquaviva e di Altamura, vol. I, Vivere In, Monopoli 2015, pp. 21-22.

Intitolazioni a Giandomenico Falconi:

  • Via Giandomenico Falconi, Altamura (BA).

Scritti di Giandomenico Falconi:

  • G. Falconi, Orazione pronunziata nella città di Terlizzi in occasione della lettura del decreto di erezione del seminario diocesano di detta città, Pansini, Bari 1844;

  • G. Falconi, Per l'erezione del seminario vescovile di Terlizzi, Nobile, Napoli 1846;

  • G. Falconi, Agli acquavivesi. Lettera del loro pastore prelato ordinario, Soc. Ed. Romana, Roma 1848;

  • G. Falconi, La strenna de' morti, Cannone, Bari 1849;

  • G. Falconi, Sul digiuno della vigilia della Presentazione di Maria Vergine, Cannone, Bari 1849;

  • G. Falconi, Agli amatissimi altamurani ed acquavivesi. Notificazione del loro pastore mons. Giandomenico Falconi in occasione del S. Giubbileo pel cholera, Cannone, Bari 1854;

  • G. Falconi, Agli alunni del Venerabile seminario d'Altamura, Ranucci, Napoli 1854;

  • G. Falconi, Per la morte di Felice La Torre cavaliere dell'Ordine di san Giorgio, colonnello del reggimento de' Cacciatori a cavallo, Cannone, Bari 1857;

  • G. Falconi, Sul sacrilego attentato degli 8 decembre contro la sacra persona del Re N. S., Nobile, Napoli 1857;

  • G. Falconi, Lettera pastorale di monsignor Giandomenico cavaliere Falconi vescovo d'Eumenia e real prelato d'Altamura ed Acquaviva contenente l'elogio funebre di Ferdinando II, re del Regno delle Due Sicilie recitato ne' solenni funerali della real chiesa d'Acquaviva, Gissi, Bari 1859;

  • G. Falconi, Lettera pastorale di monsignor Giandomenico cavaliere Falconi vescovo d'Eumenia e real prelato d'Altamura ed Acquaviva contenente le parole da lui pronunciate nella real chiesa d'Acquaviva il 10 gennajo 1860 in lode dell'augusto monarca Francesco II, Gissi, Bari 1860;

  • G. Falconi, Per gli stati del Papa, Gissi, Bari 1860;

  • G. Falconi, Alle chiese di Altamura ed Acquaviva, Capracotta 1861;

  • G. Falconi, Lettera pastorale alle dilettissime claustrali di Altamura ed Acquaviva, Stamp. del Fibreno, Napoli 1862.

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