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Quattro matrimoni capracottesi: 1953-1965


Il matrimonio di Diana e Pasquale Paglione, 27 giugno 1953.

Diana Paglione e Pasquale Paglione

L'officiante della cerimonia nuziale fu don Gennaro Di Nucci mentre il custode era il padre Vincenzo "la Madonna". Splendida giornata quel sabato del 27 giugno 1953: la temperatura massima fu di 26 °C, la minima fu di 12 °C. Il passaggio della sposa con l'abito bianco veniva salutato non solo con la dovuta pacatezza ed esultanza che si conveniva in questa speciale occasione ma anche, per alcune prossime al matrimonio, con una personale inquietudine e insofferenza per il semplice fatto che non tutte avevano l'opportunità di avere un proprio abito nuziale.

Ecco che l'abito da sposa, che era considerato come un qualcosa di intimo e personale, in molte occasioni fu "prestato", dopo previo aggiustamento da parte delle brave sarte del paese, a chi in quelle circostanza non poteva permetterselo; senza dimenticare che in qualche circostanza l'abito fu confezionato con i paracadute recuperati durante le operazioni militari degli Alleati.

Nel febbraio del 1950 in contrada Guastra di Capracotta invece fu utilizzato per un matrimonio carnevalesco.


 
Il matrimonio di Anna Di Rienzo e Antonio Di Nucci, 7 settembre 1955.

Anna Di Rienzo e Antonio Di Nucci

Il matrimonio tra Antonino Pascalìtte e Anna fu celebrato nella Chiesa della Madonna di Loreto da don Gennaro Di Nucci il 7 settembre 1955 in una splendida giornata di sole con temperatura massima di 26,5 °C e minima di 12 °C. Non appena la cerimonia religiosa terminò, gli sposi vennero ricordati con qualche foto alla bisogna; il fotografo professionale non era sempre presente e ci si accontentava di foto scattate da qualche amico. A volte succedeva che ci fosse la macchina fotografica ma mancava il rullino. In ogni caso l'attesa di vedere le fotografie era spasmodica, perché queste erano disponibili in bianco e nero soltanto parecchie settimane dopo l'evento.

Mio padre e mia madre si rivestirono con gli abiti del matrimonio per farsi scattare la fotoricordo dopo ben tre mesi, precisamente a Natale del 1951, visto che il giorno delle nozze il fotografo non c'era. Una settimana prima della Prima Comunione, mia madre, dopo un tormentoso viaggio per le curve e i tornanti di Sant'Onofrio, accompagnò me e mio fratello Mario ad Agnone, nello "Studio Leone", per farci fotografare con l'abito scelto per il sacramento.

Il pranzo nuziale, generalmente, veniva consumato in casa con i parenti più stretti, in quanto non tutti potevano permettersi di prenotare l'Albergo Vittoria, ubicato alla fine di corso Sant'Antonio a Capracotta. Quella del pranzo di nozze era l'occasione buona per mangiare ciò che normalmente si gustava solo a Pasqua o a Natale: ad esempio le lasagne e la carne di vitella o di manzo. A pomeriggio inoltrato iniziava la seconda fase, con l'allargamento dell'invito ad amici e parenti lontani, si gustavano i panini imbottiti con prosciutto e caciocavallo, il tutto irrorato - non per gli astemi! - dal vino che, spesso, veniva allungato con l'acqua, per mitigarne gli effetti alcolici.

La festa veniva allietata dal dù bòtte (organetto) o dalla fisormanica, sulle famose arie di un eclettico e versatile Gabriele Di Tella. Infine i servitori passavano con le vandiére colme di paste e confetti dell'industria dolciaria Carosella di Agnone.


 
Il matrimonio di Lina Mendozzi e Pietro Di Rienzo, 2 gennaio 1958.

Lina Mendozzi e Pietro Di Rienzo

I due convolarono a nozze giovedì 2 gennaio 1958 con temperatura massima di 8,2 °C e minima di 0 °C, cielo nuvoloso e poca neve. Il sacerdote officiante fu don Nicola Angelaccio. Per noi marmocchi in età prescolare l'uscita della sposa vestita di bianco fu vissuta come un'esperienza indimenticabile, da non lasciarsi sfuggire.

Pur non essendo parenti della sposa ci appostavamo a meno di un metro dal portone col naso all'insù in attesa che si aprisse quella benedetta finestra col famoso buccìtte e comparisse la guantiera colma di riso - a dire il vero poco, vista la magra di allora -, di coriandoli, di confetti ricci di Carosella e infine di quell'esiguo tesoretto costituito da monete di 5, 10 e 20 lire, più qualche metallo pesante e lire fuori corso. Il contenuto veniva rovesciato in strada dalla mamma nel momento in cui la sposa varcava il portone, accompagnata da applausi, lacrime di gioia e, a volte, anche di dolore, perché il matrimonio comportava la partenza della sposa per altri lidi (Stati Uniti, Canada, Australia ecc.).

Era quello il momento ideale per catapultarsi, senza contegno, alla ricerca di qualche doblone, a rischio di venir calpestati dalla folla. Il magro bottino veniva speso per l'acquisto delle famose "barchette" da Pascalétta a S. Giovanni, delle biglie di vetro e, a partire dal 1961, delle figurine Panini da Leo, vicino al sali & tabacchi di Genoveffa. Insomma, ci accontentavamo di poco!


 
Il matrimonio di Colomba Potena e Antonio Di Nucci, 19 aprile 1965.

Colomba Potena e Antonio Di Nucci

Il matrimonio tra Antonio Di Nucci Sarrafenùcce e Colomba Potena fu celebrato a Ortona il 19 aprile 1965 in una splendida giornata di sole, mentre a Capracotta quel giorno fu nuvoloso con temperatura massima di 6,5 °C e minima di 0 °C.

Quella fu una giornata indimenticabile. Partimmo da Capracotta alla buonora con una Fiat 600, un freddo cane e ben coperti. Era la prima volta che oltrepassavo il confine che divideva il Molise dall'Abruzzo; un ulteriore motivo di esaltazione risiedeva nel fatto che avremmo pranzato in un ristorante "estero".

Dopo la fotografia di rito, senza alcuni parenti che si erano persi nel viaggio, ci dirigemmo al ristorante dove, con grande stupore, ammirai per la prima volta un'ampia distesa d'acqua più grande del Lago della Vecchia e del bacino di Monteforte quando s'allagava.

Lo stupore più grande fu ammirare il colore azzurro dell'acqua, che soltanto sui libri di scuola avevo visto a colori, dato che il televisore di casa era sì a colori ma con 256 sfumature di grigio!

Il pranzo fu sostanzioso, anche se, per vergogna o timidezza, dovetti mangiare, oltre alla carne, anche una portata di pesce, che per giunta non mi piacque, forse perché non era quello che conoscevo, il baccalà di Natale.


Filippo Di Tella

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