Tutto ebbe inizio quando un giorno, su internet, mi soffermai sul sito della residenza anziani "Santa Maria di Loreto" di Capracotta ed ebbi presto l'idea di tirare uno scherzo ai miei suoceri.
Lo scherzo consisteva nel fargli pervenire una lettera della residenza anziani nella quale si comunicava che la richiesta di ricovero presso la struttura era stata accettata: una richiesta che loro, manco a dirlo, non si erano mai sognati di inviare!
Preparai tutto con dovizia di particolari. Nella missiva che spedii a nome della residenza anziani elencai le tariffe più consone alle loro esigenze economiche e, in vista del decennale della struttura, scrissi che veniva offerta anche una gita gratuita a Isernia e un pranzo nel miglior ristorante della zona, oltre a una prova gratuita di soggiorno di 15 giorni. Mi affrettai ad imbucare la lettera, smanioso che venisse presto recapitata.
Nei giorni seguenti, infatti, mi recai spesso dai suoceri domandando: «C'è qualche novità?», finché la lettera, finalmente, arrivò a destinazione. Tornai a casa dei miei suoceri e li trovai un po' preoccupati, tanto che chiesi:
– Cos'è successo?
E loro:
– Guarda, è arrivata questa lettera da Capracotta. Ma che vieàne truvànne? Nù nen séme fatta nesciùna dumànda!
Finsi di leggere la lettera e spiegai che o loro stessi o qualcuno dei figli aveva inviato quella richiesta, ma i miei suoceri risposero che di certo loro non erano stati e i figli men che meno. Il giorno dopo li chiamai e, camuffando la voce in modo perfetto, mi qualificai come Pasquale Paglione, il responsabile della residenza anziani di Capracotta. Fatti i dovuti convenevoli, terminai la telefonata con una domanda:
– Capacchió, allora, quanda vié alla casa de repóse?
Mio suocero spiegò che non sapeva nulla di questa storia e soprattutto ci tenne a sottolineare che mai sarebbe andato in quella residenza. Io, nelle vesti di Pasquale, mi sforzai di convincerlo che lì si stava benone e lo invitai a provare almeno il periodo gratuito di 15 giorni della cennata promozione, al termine del quale avrebbe deciso. Niente da fare, mio suocero rispose:
– T'aje ditte ca lòche nen ce viénghe e basta!
Dopo quella telefonata mi recai nuovamente a casa dei genitori di mia moglie e, non appena entrato, mi dissero:
– È telefonàte Pasquale, quire de la casa de repóse...
Al che risposi:
– Fate una cosa: andateci per 15 giorni, tanto è gratis, così questa storia finisce!
Non feci in tempo a terminare la frase che mio suocero z'appeccieàtte e disse:
– T'aje ditte ca lòche nen ce vaje! Tiénghe la casa méja, pecché aja ì lòche?
Il giorno appresso ritelefonai e, spacciatomi nuovamente per Pasquale Paglione, comunicai loro che se non fossero giunti entro il 1° agosto, ci saremmo visti in tribunale perché la Regione Molise - minacciai - concedeva alla struttura, per ogni nuovo paziente, ben 10 milioni, ed essendo già stata erogata la somma, la spesa ricadeva sul paziente che rifiutava il ricovero.
Ovviamente tornai di corsa a casa dei suoceri che subito mi riferirono della telefonata e della possibilità d'una citazione in tribunale. Tentai nuovamente di convincerli:
– E jétece... ve facéte quìndece juórne e ze fenìsce la mùseca!
Non l'avessi mai detto! Si scatenò l'inferno, con loro due che ripetevano:
– T'aje ditte ca lòche nen ce vaje!
Il giorno dopo chiamai di nuovo e stavolta mi feci passare per l'avv. Piscitello di Pescara, minacciando mio suocero di vederci in tribunale se non avesse accettato l'invito della struttura residenziale. Mio suocero disse:
– Io lì non ci vengo e non vengo nemmeno in tribunale. Al massimo posso venire al ristorante!
Mi recai per l'ultima volta a casa loro. Stavolta l'atmosfera era lugubre. I genitori di mia moglie erano nervosi, letteralmente stravolti, e quando chiesi cosa fosse successo, mi raccontarono della telefonata dell'avvocato, al che esclamai:
– Ma jétece a su cazze de spizie e la storia ze fenìsce na vòlda pe tutte!
– T'aje ditte ca lòche nen ce vaje! La vuó capì scin'o nóne?
A quel punto sbottai:
– Lòche nen ce vuó ì ma al ristorànde scì?
Dopo quella mia uscita, i due compresero che si trattava di uno scherzo. A mio suocero j'arvénne la cèra e si limitò a dire:
– Aja vedé quanda la fenìsce!!!
Mia suocera aggiunse soltanto:
– Ride ride... nu è na settemàna ca nen durméme!
Nicola Carnevale