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Una belva umana inferocita


Il Bar Centrale di Capracotta negli anni '70 (foto: F. Di Tella).

Era un pomeriggio del gennaio '72, nevicava pesantemente ma la neve, come suol dirsi, era papparèlla. Mi stavo recando, assieme ad altri ragazzi del Rione S. Giovanni, in piazza quand'ecco che, giunti davanti al sali & tabacchi di Genoveffa, c'imbattemmo in Tripoli, un uomo particolarmente folcloristico originario di Sant'Angelo del Pesco che, con una carriola adattata al trasporto delle bombole di gas, incontrava difficoltà a spingerla forse per via del carico forse a causa del fondo scivoloso.

Cominciammo a prenderci gioco di Tripoli col classico sfottò in dialetto santangiolese:

Vusse... vusse... vusséte! – al che l'uomo replicò:

La féssa de màmeta...

All'improvviso Tripoli, preso da uno scatto d'ira, lasciò la carriola e si lanciò al nostro inseguimento su via Roma. Essendo ragazzini, ci rifugiammo nel Bar Centrale di Bernardo e, dopo pochi secondi, giunse sull'uscio Tripoli che, con la coppola mezza storta e il naso che grondava, sembrava davvero una belva umana inferocita!

Con un occhio che guardava in direzione della Cooperativa e l'altro semichiuso cercava di individuare qualcuno della nostra cricca. Nella sua mente aveva focalizzato un ragazzino con la giacca a vento arancione ma non riusciva a trovarlo. Dopo aver scandagliato il bar si recò nel locale retrostante dove stavano il biliardino e il flipper.

Fu lì che Tripoli trovò la sua preda. Con gli occhi iniettati di sangue prese il mio amico e lo sdraiò sul biliardino, riempiendolo di botte. Gli astanti non fecero nulla per difendere il malcapitato. Ma, come in ogni cosa, la Provvidenza ci mise una mano ed ecco infatti farsi strada Lucio re Scuppelàte - pace all'anima sua! - che immobilizzò Tripoli consentendoci di guadagnare la via d'uscita.


Luciano Monaco

 

La storia che hai raccontato mi ha riportato ai tempi della mia infanzia. Erano tempi duri per molta gente, compresi noi, e papà, come tutti sanno, cercava di mandare avanti la famiglia a modo suo, soprattutto al servizio della gente. Faceva quello che poteva: le bombole di gas, qualche masciàta ed altri lavoretti al cantiere. Questa era la sua vita e non era facile. A ciò si aggiunga che alcuni ridevano di lui e lo prendevano in giro (e certe volte perdeva le staffe, era proprio così).

A volte veniva a casa scoraggiato e gli dicevo:

– Papà non scoraggiarti, lasciala parlare la gente, sono ragazzi e non capiscono quello che fanno e le conseguenze.

Lui mi guardava con la coppola messa di traverso e coll'unico occhio buono che aveva (perché era orbo) e mi diceva:

– Hai ragione.

Nel '72 avevo 22 anni ed ero già fuori per lavorare, però posso assicurarti che papà ci ha sempre insegnato il rispetto per la gente tanto che oggi, specialmente in questo periodo, aiuto i senzatetto, la gente sola e tutti coloro che hanno bisogno di sostentamento. Mia moglie son 25 anni che aiuta le persone. Ecco, questa è la nosta vita: aiutare sempre i bisognosi, forse perché a noi tutto questo è mancato.

Un'ultima cosa prima di chiudere. Papà ci ha insegnato tanto e vorrei che fosse vicino a me per ringraziarlo di ciò che ha fatto per la sua famiglia e per la gente di Capracotta che amava tanto. Papà, ovunque tu sia, ti voglio bene.


Mario Rago

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