Antonio Sammarone: con la "e" o con la "i"?
- Letteratura Capracottese
- 26 mag
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Mio nonno nacque nel 1896 a Maschito, in provincia di Potenza, in Basilicata, anche se tutta la sua famiglia viveva a Capracotta, un piccolo paese tra gli Appennini, in provincia di Isernia, in Molise.
I suoi genitori erano pastori e, come tutti, transumanti: in determinate stagioni, scendevano in terre più fertili a far pascolare i loro animali. Ecco perché Antonio è nato il 21 luglio in Basilicata, a sud della regione d'origine della sua famiglia.
Arrivò a 5 anni in Argentina a bordo della nave "Duchessa di Genova" assieme alla madre Filomena Di Lorenzo e a tre fratelli: Celestino, di 9 anni, Carmen di 7 e Maria Domenica di 3 anni. Era il 1901. Qui li aspettava il padre Salvatore, da cui sarebbero nati altri sei figli.
Si stabilirono nel distretto di Loberia e si dedicarono al lavoro rurale, così come facevano in Italia.
La legge 1420 permise ad Antonio di completare l'istruzione primaria. Amava leggere, in particolare un romanzo inglese scritto alla fine del XVII secolo e tradotto in spagnolo, "Oscar e Amanda", di Regina Maria Roche, da cui attinse i nomi di due delle sue figlie: Amanda e Malvina.
Nel 1922 Antonio sposò Mariana Etcheverry, figlia di baschi e originaria di Juan N. Fernández, distretto di Necochea. Ebbero dodici figli.
Ogni volta che nasceva un bambino, Mariana gli chiedeva di dargli un certo nome, ma quando Antonio lo registrava all'anagrafe, gliene aggiungeva un altro. Ad ognuno dei dodici figli diede un secondo nome che iniziava con la lettera "a": Amanda Zulema, Daniel Antonio, Anìbal Oscar, Clavel Artemio, Carol Harold, Violeta Anabela, Malvina Alida, Azucena Elizabet, Franklin Ariosto, Lirio Abel, Pensamiento Alberto e Ada Eva. Il suo amore per i fiori è evidente anche nella scelta di alcuni nomi (Violet, Clavel, Azucena, Pensamiento e Lirio).
Nel 1931 era nato il loro quinto figlio e, quando Antonio si recò in paese per registrarlo, lesse sul giornale "Crítica" una notizia riguardante il re Carlo di Romania, così il bambino venne chiamato Carol Sammaroni, col cognome che terminava in "i" o in "e", a seconda di come lo trascriveva l'ufficiale dello stato civile. Vi erano quindi bambini col cognome Sammaroni ed altri col cognome Sammarone.
«Uscivamo da scuola, tornavamo a casa per bere una tazza di mate e poi portavamo gli animali a pascolare in un campo vicino. Nel pomeriggio, quando vedevamo il nonno che piantava davanti casa un lungo bastone con un panno rosso legato all'estremità, tornavamo indietro», racconta Clavel.
«Il nonno preparava gli spaghetti la domenica, un uovo a persona, e li impastava lui stesso», diceva Carol.
Morì nel 1965. Ho conosciuto mio nonno solo tramite mio padre Carol, che aveva continuato a coltivare le usanze tradizionali come la casa di campagna, il pollaio e la pasta della domenica.
Forse essere un insegnante di storia mi ha reso, in un certo senso, custode della storia della mia famiglia, alla ricerca di aneddoti, fotografie, luoghi e ricordi. Conservo l'enorme foglio che servì da passaporto a Filomena Di Lorenzo, con i tratti distintivi che la descrivono come una donna minuta, di 36 anni, una contadina di Capracotta in viaggio con i suoi quattro figli verso una nuova vita in America.
Evangelina Sammaroni
(trad. di Francesco Mendozzi)
Fonte: E. Sammaroni e S. Suffredini, Raíces tanas: testimonios de vida, Biblos, Buenos Aires 2025.