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Si chiamava Balmamion


Carmine Di Tanna (1946-2009).

Quel nome gliel'avevano affibbiato in onore del grande ciclista a lui quasi coetaneo Franco Balma Mion, uno che portò a casa due edizioni consecutive del Giro d'Italia senza mai vincere una tappa! Invece i più giovani storpiavano spesso il suo soprannome in Barbabiòn, per via del barbone bianco che randagio lasciava crescere su un profilo bellissimo e sempre abbronzato, tagliato da due occhi siberiani. All'anagrafe si chiamava Carmine Di Tanna, un nome come tanti a Capracotta, col quale si stentava a identificarlo. Infatti ancor oggi, per tutti, lui è Balmamion.

Dir che fosse un personaggio eccentrico è riduttivo. Balmamion era un originale ai limiti dell'immaginabile. Negli anni della maturità dormiva su un pagliericcio adagiato su una catràscia di legna all'interno del suo garage. Nei mesi estivi, ai piedi portava spesso degli zoccoli in legno di sua fabbricazione e, quasi sempre, lo si vedeva a petto nudo, con pantaloncini rossi sbrindellati che bastavano a malapena a coprir le pudenda. Quando passeggiava per la campagna o se ne andava in bicicletta per il paese c'era sempre un branco di cani randagi a fargli codazzo. E la notte suonava soavemente l'organetto, le cui note, da Fonte Giù, si udivano fino in piazza Municipio.

Da giovane aveva vissuto nei Paesi Bassi - come il fratello che poi è rimasto ad Haarlem - e, stando agli strampalati racconti del suo amico (e parente) mastro Giovanni, lì Balmamion si era fidanzato con una stupenda ragazza olandese finché, deciso a ritornare in Italia, si era accomiatato da lei con un paradossale: «Addio mia bella, ci vediamo l'anno scorso!».

Balmamion era il cugino carnale di mio padre e a volte pranzava da noi: invitarlo non era facile, perché era un gran timidone e per averlo a tavola bisognava pregarlo. Alle persone in carne e ossa preferiva il resto del creato.

Balmamion era di pochissime parole e quelle poche che pronunciava andavano interpretate con la giusta dose di leggerezza e sarcasmo. Perché lui, senza volerlo, era nichilistico, libertario e tollerante. Senza alcun evidente substrato culturale, Balmamion era Friedrich Nietzsche quando sbeffeggiava il cristianesimo alle porte del 2000, era Charles Bukowski quando parlava apertamente di sesso non convenzionale, era Erasmo da Rotterdam quando giungeva all'argomento, intoccabile per tanti, della morte e delle sue conseguenze.

Balmamion era un "personaggio" e questa fama non gli dispiaceva affatto. E, dissacrante com'era, chissà cos'avrebbe detto di quest'assurda pandemia...


Francesco Mendozzi

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