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Capracotta, la Festa della Pezzata (I)


Fanciulle in costume tradizionale alla prima Pezzata, il 12 agosto 1962 (foto: A. Rovere).

Sull'acrocoro di Monte Campo, nell'Appennino Altomolisano, a 1.421 metri sul livello del mare, sorge Capracotta, uno degli otto o dieci Comuni italiani posti a livello delle nuvole.

Ad altitudini superiori, sulle Alpi, vi sono parecchi altri nuclei abitati ma nessuno di essi raggiunge i 1.000-1.500 abitanti. Qualcuno, anzi, come Moncenisio, a metri 1.461 sul l.m. tocca appena i 60 abitanti. Non possiamo quindi considerarli veri e propri comuni. Gli unici agglomerati urbani, sulle Alpi, suf­ficientemente popolati per poterli definire Comuni stratosferici sono: Cogne, in provincia di Aosta, ab. 1.898, alt. 1.534, e Livinnalongo Col di Lana, in provincia di Belluno, ab. 1.879, alt. 1.475.

Se poi fermiamo la nostra attenzione sui Capoluoghi di Mandamento troviamo che quello più alto d'Italia è proprio Capracotta, che con i suoi 3.201 abitanti (cens. 1961), è senz'altro il più grosso Comune stratosferico d'Italia.

Nel 1872 il Paese contava 3.238 abitanti. Possiamo quindi concludere che il triste fenomeno dello spopolamento dell'Appennino non ha troppo danneggiata Capracotta che ha presso a poco conservato lo stesso numero di anime, non ostante le proibitissime condizioni di vita che ne rendono addirittura polari i lunghi mesi d'inverno.

Fatta questa breve presentazione del paese, ed attribuitagli la palma del più popoloso Comune stratosferico d'Italia, passiamo a darne una idea più esatta dal punto di vista sto­rico-geografico e climatico-turistico.

Notizie storiche sicure non ve ne sono. Silla il grande ave­va punito il Sannio in maniera così radicale che sarebbe stato impossibile ritrovare il Sannio nel Sannio. Quindi non si possono in proposito fare altro che congetture sulle ori­gini del Comune. Comunque forse non si sbaglia di molto attribuendo l'origine del Paese ai Sanniti Caraceni che popola­vano, duemila anni or sono, le aspre montagne dell'Alto Molise, e vi avevano fondato fiorenti centri quali Aquilonia, Bovianum Vetus, Volanum, Terventum, etc. La posizione geografica del Paese, a 1.421 metri s.l.m., se nel passato forse era una delle migliori perché i centri abitati arroccati sulle cime delle montagne potevano essere meglio difesi e sperare in una tranquillità non sempre possibile sulle colline o in pianura troppo esposte agli eserciti nemici o alle bande di predoni, banditi e pirati, nell'epoca attuale, invece, scomparse queste calamità, è diventata un serio ostacolo alla stessa esistenza.

Per secoli i paesi montani, e fra essi Capracotta, sono vissuti in una sorta di isolamento e di autosufficienza, più o meno difficile, più o meno penosa specialmente durante i lunghi, rigidi inverni. Oggi tutto ciò è impossibile a causa delle mutate condizioni della vita collettiva. E di conseguenza le difficoltà di approvvigionamento sui monti, lontano dalle grandi vie di comunicazione e dalla ferrovia, sono diventate insormontabili. Capracotta, da secoli, aveva brillantemente risolto il problema, creandosi una fiorente industria zootecnica bovina, equina ed ovina e servendosi dei tratturi per andare a svernare nelle pianure della Daunia (prov. di Foggia) e ritornare di estate sui monti natii ai pascoli verdi ed ossigenati. I pastori, dopo la lunga parentesi invernale, tornavano così a rivedere i figli, le mogli, i vecchi genitori, rimasti nell'interminabile inverno polare di Capracotta, sotto un gelido manto di 4, 5 ed anche 6 metri di neve, tagliati completamente fuori dal resto del mondo, tappati sempre in casa e costretti ad uscire non più dalle porte, ma addirittura dalle finestre. Ritornavano con gli armenti e i greggi, con gli agnelli novelli e col gruzzolo in danaro sonante ricavato dal latte, dalla lana, dal formaggio, dopo settimane e settimane di lento cammino dal piano al monte. Oggi anche questa secolare vita arcaica è scomparsa, travolta dal progresso, dalla motorizzazione perché i pastori superstiti oggi trasportano su autocarri il loro bestiame decimato, e gli altri sono andati via attratti dal richiamo sirenico delle luccicanti metropoli nelle lontane pianure.

E Capracotta cerca ora di farsi faticosamente una nuova vita, un nuovo volto, sfruttando d'inverno quella coltre di 4, 5 ed anche 6 metri di soffice neve altre volte considerata una vera maledizione ed oggi, invece, una irresistibile attrazione turistico-sportiva.

Lo sforzo è immenso, ma il successo è ancora lontano perché il Paese, a quella incredibile altitudine, è fuori dalle grandi arterie stradali, e dalle ferrovie, e per accedervi d'inverno, con le strade bloccate dalla neve, non ostante il colossale spartineve donato dagli U.S.A., il problema da risolvere è grosso, è immenso. Ma chi riesce a risolverlo si vede premiato dai magnifici campi di sci di Monte Campo (m. 1.720 s.l.m.) e dal confortevole rifugio di Prato Gentile a 1.550 metri di altitudine e circa due chilometri dall'abitato.

Prato Gentile. Di estate vi si celebra la "Festa della Pezzata", la cui origine che potrebbe anche essere pagana perché strettamente legata alla pastorizia ed alla zootecnia nomade si perde nella notte dei tempi.

Per secoli e forse per millenni si davano convegno sullo sconfinato prato i pastori di ritorno dal piano al monte, dopo giorni e giorni di faticoso viaggio sui tratturi alla testa degli armenti e dei greggi come generali e quella dei loro eserciti. Erano diecine e diecine di migliaia i capi ovini che andavano a popolare il vastissimo prato, brucandone l'erbetta fresca e odorosa di rugiada. I pastori andavano e venivano indaffarati. Urgeva tosare le pecore, preparare il formaggio, curare gli agnelli, badare ai muli ed ai cavalli della someggiata, ed ai cani, sì, anche ai cani da pastore col bianco pelo impillaccherato ed il collare di ferro irto di punte acuminate per non essere sgozzati nelle lotte contro i lupi famelici che seguivano da lontano le greggie snodantesi lungo gli interminabili tratturi. Urgeva fare in fretta questo lavoro perché il tempo a disposizione era poco. L'inverno era di nuovo imminente perché l'estate lassù è troppo breve. E gli agnellini più belli venivano sacrificati in ringraziamento agli Dei che avevano concesso loro, stanchi pastori, di tornare ancora una volta ai patri lari con il bestiame accresciuto di numero e con il frutto da esso prodotto perché le famiglie potessero nuovamente e tranquillamente affrontare la breve parentesi estiva; avrebbero, come sempre ogni anno, ripreso la via del piano per svernarvi tranquilli insieme ai loro armenti e greggi. Ed il loro pensiero era sempre rivolto alla prossima estate, al ritorno sul prato, al ricongiungimento con le famiglie che per circa un anno li avrebbero speranzosamente aspettati.

E così per secoli, per millenni, in una immutabile eternità, di padre in figlio, la faticosa spola tra il monte ed il piano si è ripetuta all'infinito.


Tarquinio Del Matto


 

Fonte: T. Del Matto, Capracotta, la Festa della Pezzata, in M. Gastaldi, L'Italia centrale, meridionale e insulare viste da centinaia di poeti e scrittori italiani contemporanei, Gastaldi, Milano 1967.

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