top of page

Capracotta minata


Rudere di casa minata dopo lo sbancamento della Terra Vecchia.

In una fredda serata d'inverno, mentre fuori soffiava un forte vento di bora, Lucia chiese alla nonna se al suo paese il vento soffiava più forte e se ci nevicava tanto. Voleva sapere anche come la nonna avesse trascorso la sua fanciullezza, dei suoi svaghi, di ciò che faceva e delle sue amiche d'infanzia, di tutto insomma... Così nonna Consiglia cominciò a raccontare come aveva trascorso la sua infanzia e prese a rivivere con le parole una storia lunga, quasi senza fine. – Lucia, nel mio paese, Capracotta, il clima è sempre stato molto rigido e d'inverno la fa da padrona la bora (vòria) che batte insistentemente su case, su alberi, su tutto ciò che incontra e che sibila forte forte quasi come un guaìto d'animale. Nei giorni di freddo, infatti, si sta sempre dentro vicino al fuoco. Quando ero bambina io, non c'era né televisione, né telefono e tante altre comodità odierne: vivevamo in modo semplice ma in armonia con tutti. Noi bambini ascoltavamo con piacere i racconti degli adulti che parlavano di castelli bellissimi ed incantati, di principi e di principesse, di orchi cattivi, di animali parlanti o personificati. Si pendeva dalle labbra dei bravi faulatori (novellatori) che erano sempre accolti con grandi manifestazioni di gioia ed alla fine dei racconti tutti erano contenti e accomunati da una magia incredibile. I nostri giochi erano semplici e per niente costosi. Tutto questo prima del secondo conflitto mondiale, per l'Italia, poi tutto è cambiato: gli uomini al fronte, le donne ed i ragazzi a svolgere i lavori di agricoltura e di casa. Avevo quattro anni quando è iniziata la guerra, in quel lontano «giorno della follia» del 10 giugno 1940; abitavo in una casa con altri fratelli di mio padre, vivevamo modestamente con il papà Oreste, che svolgeva il lavoro di falegname, la mamma Maria Pulcheria e Renato e Corrado, miei fratelli maggiori; ci si ingegnava in mille maniere per tirare avanti. La guerra sarà veloce, sarà una guerra-lampo si diceva da qualche parte, gli uomini al fronte torneranno presto: invece i giorni peggiori dovevano ancora venire. Continua nonna Consiglia: – Avevo sette anni quando la guerra sentita un po' alla lunga arrivò anche a casa nostra: erano i giorni dell'Armistizio dell'Italia con le potenze alleate quando la furia nazista si riversò su Capracotta, proprio da quell'8 settembre 1943 quando il nostro paese era in festa per le celebrazioni in onore della Madonna di Loreto. Da soldati che combattevano insieme, gli italiani e i tedeschi divennero acerrimi nemici, così in un batter d'occhio, i nostri senza essere repentinamente informati, divennero vittime di rappresaglie e fucilazioni dai più furbi ex alleati. I nostri soldati la dovevano pagare perché traditori, la dovevano pagare perché erano venuti meno al Patto d'Acciaio che era stato stipulato solo da due uomini, non tra due popoli convinti. E così la guerra dai fronti arrivò nei piccoli borghi, arrivò nelle campagne, arrivò a casa nostra e Capracotta fu bruciata tra il 9 e l'11 novembre 1943. Qualche giorno prima e precisamente il 4 novembre 1943 due nostri cari compaesani, Rodolfo e Gasperino Fiadino, furono fucilati in località Sotto il Monte, vittime della furia nazista con la sola colpa di aver ospitato alcuni soldati alleati scappati dal campo di concentramento di Sulmona. Invano si cercò di scongiurare la terribile decisione tedesca, invano il sacerdote Leopoldo Conti supplicò il comandante del plotone d'esecuzione perché lasciasse liberi i due fratelli. Così scrisse a proposito di questo episodio la scrittrice capracottese Elvira Tirone Santilli nel suo libro "Oltre la valle":

Ma come poteva il buon parroco convertire con le sue preghiere una tale sentenza? Le sue appassionate insistenze, simile alla bora, che invano batte sui macigni di monte Campo per rimuoverli dalla loro radicata posa, non potevano essere udite...

Nella giornata di lunedì 8 novembre il banditore comunale diede l'avviso alla popolazione a nome del Comando Militare che ordinava a tutte le famiglie l'immediato sgombero delle case le quali dovevano essere distrutte, sarebbero state risparmiate solo le chiese e il cimitero. Cominciò a nevicare e la gente, ormai in preda allla disperazione, si rifugiò nelle chiese e nel cimitero, portando con sé qualche coperta e quel che poté. Ben presto si cominciarono a sentire gli scoppi delle prime case fatte saltare in aria con una diabolica miscela esplosiva. Furono giorni terribili, il fumo acre delle case incendiate soffocava le gole e i cuori di tutti e creava uno spettacolo triste e indimenticabile. Si attuava, così, la tattica della terra bruciata per non far avanzare le truppe alleate che risalivano da sud e che furono bloccate lungo la linea Gustav. – Nonna, chiese Lucia già un po' addormentata, se c'era la distruzione delle vostre case dove vi siete rifugiati? – Ci siamo rifugiati al cimitero e per tre giorni e tre notti non abbiamo mangiato, l'ultimo giorno fu concesso ai bambini (tra cui io) di mangiare un piatto di sagne e patate che mia madre aveva procurato, e ricordo anche che quel giorno mangiammo con le mani. Non avevamo luce, nemmeno una candela, solo il leggero bagliore dei lumini del cimitero e per tre giorni abbiamo dormito nei loculi destinati ai morti. Serbo ancora il ricordo di come fu seppellita una giovanetta di 17 anni avvolta in un lenzuolo bianco: la fecero scivolare delicatamente nella fossa e poi la ricoprirono con accortezza, quasi con il timore che quel corpo, ormai senza vita, potesse sentire dolore. Il terzo giorno la mia famiglia prese la decisione di non rimanere più al cimitero e di andare verso Agnone dove aveva dei parenti, e precisamente da Eduardo (nostro cugino) e Rosaria, sua moglie. Il viaggio a piedi fu pieno di difficoltà – riprende nonna Consiglia – quel giorno nevicava ed il fiume era in piena, perciò nell'attraversarlo persi una scarpa e mi ferii il piede spaventandomi tanto. In Agnone ci si dovette adattare alla meglio tanto che i miei fratelli dormivano su una porta rotta, io per fortuna dormivo con i miei genitori in un letto normale. I nostri parenti, anche se non avevano molto spazio per ospitarci, ci trattarono molto bene, dividevano con noi tutto ciò che avevano da mangiare, anzi ci trattavano con riguardo ed io ricordo con tanto affetto la loro famiglia. Nel dormiveglia la bambina aveva degli incubi tanto che spaventata gridò: – Nonna! Anch'io sento dolore ad un piede, è scoppiata una mina... mi ha ferita un proiettile, nonna, aiutami c'è la guerra!!! – Lucia, stai già dormendo ed anche i tuoi sogni si sono fatti paurosi, tu sei fortunata, adesso non c'è la guerra, c'è quella appresa in televisione di posti lontani dove ancora si muore, dove ancora si bombarda: Kabul, Beirut... dove ancora i bimbi muoiono e muoiono, a volte, anche quei soldati che sono andati a portare pace. Lucia, cerca di non addormentarti ed ascolta ancora un po' il racconto della guerra a Capracotta. Passò quel triste inverno del 1943, venne la primavera e noi tornammo al nostro paese, per fortuna la nostra casa non era stata distrutta ma era stata occupata dal Comando inglese e noi fummo ospitati dai nostri compari. Poi, piano piano, si cercò di tornare alla normalità, non avevamo niente, solo la grande volontà di farcela, così tutto il paese ricominciò a vivere, a lavorare, a ricostruire ciò che era stato distrutto. Ascolta ancora quest'ultima parte del racconto: quando la guerra finì tutto si rimise in movimento, si cercò di sanare le ferite esterne, ma non si potevano sanare subito la sofferenza ed il dolore che si erano incarnati dentro di noi e che avevano segnato gran parte della mia e altrui giovinezza. Dopo questi tristi avvenimenti ci portò felicità e gioia la nascita del mio terzo fratello Giuseppe che in tanta distruzione rallegrò la vita della mia famiglia. Oggi il dolore di allora è stato alleviato dal trascorrere degli anni, i ricordi non si sono affievoliti, ma sono intatti nel mio animo e pur vivendo altrove non è diminuito l'affetto per i miei cari e quello per il paese, per il Santuario della Madonna di Loreto posto in prossimità delle ultime case di Capracotta e luogo prediletto di commozione, di salutie di preghiere dove ci si ferma tutte le volte che torno al mio paese. Adesso Lucia si era proprio addormentata e sognava, forse, un mondo senza guerra in cui i bimbi potessero tornare ai loro giochi ed i grandi ai loro lavori nei campi e nelle botteghe artigiane.

– Sogna, le disse nonna Consiglia, sistemandola su una poltroncina vicino al fuoco, sogna sempre un mondo senza guerra, sogna sempre un mondo senza profughi che lasciano la propria casa e la propria terra, sogna sempre un futuro di pace da raccontare quando sarai anche tu nonna...


Consiglia D'Andrea

 

Fonte: C. D'Andrea, Capracotta minata, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. IV, Proforma, Isernia 2013.

bottom of page