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La Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Capracotta


Fotoel. della Chiesa di S. Maria delle Grazie.

Il titolo di Madonna delle Grazie ha una duplice valenza. Da un lato sta a significare l'effettiva maternità di Maria, il suo essere madre di Gesù Cristo, e dunque madre della grazia divina discesa tra gli uomini in redenzione dei peccati e come messaggio di salvezza. Dall'altro lato, il riferimento riguarda le grazie che la Madonna garantisce agli uomini intercedendo per loro presso il Padre onnipotente.

Nel 1671 il tavolario Donato Antonio Cafaro, incaricato di redigere una stima del feudo di Capracotta in vista della sua messa all'incanto, scriveva che questo si componeva di quattro contrade, una delle quali era «il borgo di S. Maria delle Gratie, che stà alla seconda strada, però unito con l'habitatione antica [in cui] vi è un'altra chiesa sotto il titolo di S. Maria delle Gratie, sita al borgo del medesimo nome, grancia del Clero, et ospitio de' padri della religione di S. Francesco».

Sessant'anni dopo, nella "Cronistoria della riformata Provincia di Sant'Angiolo in Puglia", frate Arcangelo da Montesarchio aggiungeva che a Capracotta fu «edificata una Chiesa sotto il titolo di S. Maria delle Grazie, arricchita di molti privilegj, come leggesi in detto breve appostolico, la quale fu benignamente data a' religiosi di questa Provincia a titolo di ospizio, e colla appostolica facoltà di potervi edificare un convento; ma i frati non vi abitano, e solamente vi albergano, quando capitano in detta terra per limosinare le lane, o altro bisognevole pe 'l convento di S. Bernardino di Agnone».

Nel 1931, lo storico Luigi Campanelli confermava che «un'altra cappella al nome di S. Maria delle Grazie era situata poco discosto dal palazzo Baccari (poi Fantozzi, poi Mosca) edificata forse dalla detta famiglia. Questa chiesetta aveva soprastante un piccolo convento o rifugio di frati francescani». Questa affermazione era figlia delle ricerche di Gaetano Sabatini di Pescocostanzo, il quale negli "Annales minorum" di Luca Wadding aveva trovato la seguente dicitura:

Apud oppidum Triventinæ Diocesis, quod Capracocta appellatur, in regno Napoletano, Donatus Vaccarius qui ordinis tertiarii leges atque instituta domi professus ad cerum præscriptionibus vitam agebat, observantibus ædem atque cœnobium in patrio fundo ædificavit, qui annuente Pontifice maximo ad incolendum deducti, religioni ac populorum saluti egregiam operam novam acceperunt.

Alfonso Di Sanza d'Alena, attento studioso delle famiglie illustri capracottesi, sostiene che in via S. Maria delle Grazie, sul cosiddetto Colle, «sorse il palazzo Baccari, vicino al quale si ergeva una cappella dedicata a S. Maria, che si presume fondata da questa famiglia. Infatti il piano soprastante la cappella era occupato da un convento o rifugio dei frati francescani, fondato nel 1546 da Donato Baccari».

A proposito della fede e della sua declinazione popolare, padre Mario Di Ianni riportava invece una delle leggende legate alla nostra Beata Vergine Maria di Loreto, secondo la quale la sua statua venne dapprima custodita «dove fino a pochi anni or sono c'era l'asilo, il che spiega perché quell'edificio si chiamasse "Casa della Madonna". Dunque la Madonna [...] accettò di risiedere momentaneamente nella cappella della Madonna delle Grazie, fino alla costruzione dell'attuale chiesa».

Allo stato delle attuali conoscenze, dunque, possiamo affermare con certezza che sul territorio di Capracotta esisteva sin dal XVI secolo una chiesa - o una cappella - dedicata alla Madonna delle Grazie, che la stessa era gestita dai francescani e che era situata sull'omonima via, al di sopra di quello che i capracottesi chiamano "Colle". Accanto a queste notizie certe ne abbiamo una incerta, ossia la posizione esatta di detta chiesa, che per alcuni era all'interno del Palazzo Baccari - sede dell'asilo infantile di Capracotta per tutto il '900 ed oggi della residenza anziani -, per altri nei pressi di questo palazzo.

Facciamo ora un salto apparentemente insensato e... pensiamo al racconto "La lettera rubata" (1844) di Edgar Allan Poe. La storia di quel breve, fulminante, capolavoro è presto detta: il prefetto di Parigi non riesce a trovare una lettera che è stata rubata, nonostante sia a conoscenza del ladro e della stanza nella quale è nascosta la refurtiva. Le ricerche, minuziose fino all'inverosimile, non danno risultati. L'investigatore Dupin, però, ha una teoria, secondo cui l'eccessiva semplicità del caso non può essere colta dagli inquirenti, i quali non vedono ciò che è davanti ai loro stessi occhi: la lettera.

Proprio come quella missiva trafugata, forse la Chiesa di S. Maria delle Grazie l'abbiamo sempre avuta sotto gli occhi e non ce ne siamo mai accorti: a mio avviso, infatti, potrebbe trattarsi dell'alto edificio che sorge al civico 42 di via S. Maria delle Grazie.

Per lo storico dell'architettura Mario Ortolani quell'edificio è infatti un esempio notevole di casa "a capanna", tanto che nel 1961 affermava che «a Capracotta è possibile riconoscere, tra le ricostruzioni di guerra, un superstite tipo arcaico turriforme di casa in pietra squadrata, a base rettangolare, a tre o quattro piani, con tetto displuviato a capanna, fortemente inclinato e ricoperto di lastre». La facciata a capanna è un termine architettonico usato per definire la forma della facciata di un edificio quando la copertura presenta solo due spioventi: solitamente si tratta di una chiesa.

Il Ministero della Cultura ha censito quell'edificio nel suo Catalogo generale dei Beni culturali sotto il nome degli attuali proprietari (Di Gennaro); ha inoltre certificato che «l'edificio, in pianta rettangolare, si sviluppa su quattro livelli di piano, la muratura è in pietra e la copertura è a due falde [...] L'edificio [è] posto a chiusura dell'espansione edilizia cinquecentesca a Sud del borgo originario». Questo significa che per il Ministero quel palazzo rappresentò nel '500 il confine del centro abitato di Capracotta il quale, evidentemente, era da poco fuoriuscito dalla Terra Vecchia spingendosi in piazza S. Falconi, sul corso S. Antonio e sul Colle. Un secolo dopo l'abitato sarà ancora più vasto e i suoi termini diventeranno invece le chiese di S. Antonio e di S. Giovanni.

Visto che a Capracotta soltanto le chiese hanno una facciata a capanna, posso ipotizzare che la Casa Di Gennaro fosse in passato un edificio di culto, anzi che quella fosse la sua funzione originaria. Come ogni chiesa che si rispetti, anche questa doveva avere un campanile ma, probabilmente, era a vela, come spesso si rinviene nelle chiese francescane per evitare qualsivoglia ostentazione architettonica.


Come appariva Casa Di Gennaro nel 2001.

La sua conversione a edificio residenziale dovette avvenire comunque presto, quando nella prima metà del XVII secolo i francescani lasciarono Capracotta per stabilirsi esclusivamente ad Agnone, nel Convento di S. Bernardino, chiudendo l'ospizio di S. Rocco di via Roma e abbandonando la Chiesa di S. Maria delle Grazie.

Ricordo che nel circondario di Capracotta esistono tuttora due chiese intitolate alla Madonna delle Grazie: la prima è quella di Poggio Sannita, edificata attorno al 1590; l'altra a Vastogirardi, edificata nel XVIII secolo su una preesistente cappella.

Il mio, insomma, è soltanto un primo passo per cercare di capire quali caratteri avesse una chiesuola cinquecentesca edificata nel cuore dell'attuale abitato di Capracotta e che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di interrogativi.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931;

  • A. Di Sanza d'Alena, In cammino nel tempo. Percorso storico genealogico della famiglia Di Sanza d'Alena e delle famiglie collegate, dal XVII al XXI secolo, Ilmiolibro, Roma 2015;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • A. da Montesarchio, Cronistoria della riformata Provincia di Sant'Angiolo in Puglia, libro III, Mosca, Napoli 1732;

  • E. Novi Chavarria e V. Cocozza, Comunità e territorio. Per una storia del Molise moderno attraverso gli apprezzi feudali (1593-1744), Palladino, Campobasso 2015.

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