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D'Annunzio e Capracinta


D'Annunzio e Capracotta
La grotta della figlia di Iorio nella tragedia dannunziana.

Il mio lungo lavoro su quella che ho definito letteratura capracottese, ovvero la mole di romanzi, saggi, scritti, articoli e relazioni di autori capracottesi, o in cui viene menzionata la cittadina di Capracotta, mi ha avvinto all'artista più eclettico e straordinario - se non il più importante - del primo Novecento: Gabriele d'Annunzio. Più precisamente il mio studio m'ha condotto tra le pagine de "La figlia di Iorio", «tragedia pastorale di 3 atti», come la definì il Vate stesso. Scritta nel 1903 e pubblicata l'anno seguente per i tipi dei fratelli Treves, "La figlia di Iorio" è una storia d'amore, di magia e di violenza tutta ambientata in Abruzzo. La prima rappresentazione avvenne al Teatro Lirico di Milano il 2 marzo 1904 ed ebbe un successo mediocre tanto che d'Annunzio, sperperando quasi tutti gli introiti in beni di lusso, entrò in una interminabile spirale di debiti. Nei piani originari la protagonista femminile avrebbe dovuto essere Eleonora Duse (1858-1924) - musa dannunziana per eccellenza - ma la loro relazione amorosa era in crisi e il poeta le preferì la più giovane Irma Gramatica (1867-1962).

Ispirata a un quadro di Francesco Paolo Michetti, la vicenda è ambientata nel minuscolo borgo di Taranta Peligna, nel Chietino, il giorno della festa di San Giovanni. Quasi ci trovassimo in una versione abruzzese e bucolica della Medea, i protagonisti maschili della tragedia dannunziana sono Aligi e suo padre Lazaro (di Roio del Sangro), che si disputano Mila di Codro, «prostituta campestre» nonché incantatrice acclarata, figlia dello stregone Iorio per l'appunto. Così come nella tragedia di Euripide, anche qui la storia termina nel peggiore dei modi, tra omicidi e roghi, con la differenza che a pagare lo scotto con la propria vita è la protagonista femminile, Mila. Al di là della trama e di una sua possibile e infinita interpretazione critica, ciò che mi preme segnalare qui è contenuto nella seconda scena del secondo atto, quando ad Aligi e Mila, che convivono forzatamente e castamente nella Grotta del Cavallone, appare san Cosma, il santo medico, col quale intavolano un favoloso dialogo. Aligi avrà modo di dirGli:

Mi partii per lo stazzo dopo vespro, la vigilia di San Giovanni. All'alba io mi trovai di sopra a Capracinta e stetti ad aspettare il sole. E vidi dentro dal cerchio sanguinare il capo del Decollato. Poi venni allo stazzo, ripresi a pasturare e a dolorare. E mi parea che mi durasse il sonno e la mandra brucasse la mia vita. Allora il cuore mio chi lo pesò? O Cosma, vidi prima l'ombra e poi la sua persona, là, sul limitare. Era il giorno di Santo Teobaldo. Stava seduta questa creatura sopra la pietra; e non poté levarsi ché i piedi eran piagati. Disse: «Aligi, mi riconosci?» Io dissi: «Tu sei Mila». E non parlammo più, ché più non fummo due. Né quel giorno ci contaminammo né dopo mai. Lo dico in verità.

Chi avrà la bonta di leggere "La figlia di Iorio" capirà che la storia è ambientata in un luogo sospeso, indefinito, «per suggerire l'intemporalità stessa delle realtà descritte». Questo è ancor più vero in almeno tre toponimi che l'immaginifico d'Annunzio utilizza e che non son tracciati su alcuna carta geografica: Norca, Acquabona e Capracinta, quest'ultimo presente nel frammento che vi ho presentato poc'anzi. Per la maggioranza della critica - tra cui il valido pedagogo Emidio Agostinoni (1879-1933) - questi nomi sono funzionali a «suggerire un'indistinta montagna abruzzese», tanto che in Abruzzo e Molise non c'è alcun valido toponimo col suffisso capra se non quello di Capracotta, paese di montagna per definizione altimetrica. Né credo che possa trattarsi delle due Caprafico (frazione di Casoli e di Teramo), di Capragrassa (contrada di Atessa) o di Caprara d'Abruzzo (frazione di Spoltore), vista la loro marginalità storica e l'altitudine. D'altronde, Capracinta non esiste se non come nome proprio, nello specifico quello d'un bandito, d'un ladrone ché, come scrisse il Tommaseo, era «famoso quel Capracinta».

D'Annunzio, che aveva cantato più volte il suo Abruzzo, di cui conosceva a fondo le tradizioni ancestrali, dalla pratica della transumanza ai residui dei riti pagani, probabilmente conosceva pure Capracotta, perché questa partecipava attivamente e grandemente alla migrazione delle greggi e forse la conosceva pel suo carattere polare, magico, inaccessibile, nonostante non vi siano prove documentali o testimonianze che possano confermare questa mia congettura. Ed è per l'assenza di tali prove che ho deciso di non inserire quest'opera dannunziana nella mia "Guida alla letteratura capracottese". Credo tuttavia che si prefigurano ampi sentieri di ricerca bibliografica e filologica per confermare o meno la mia ipotesi su Capracinta = Capracotta e certamente, in futuro, approfondirò l'intera opera del Vate e in particolare "La figlia di Iorio", un'opera che tutti gli abitanti d'Abruzzo e Molise dovrebbero conoscere e apprezzare.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • A. Andreoli, La figlia di Iorio: cent'anni di passione, Atti della mostra, Pescara, 30 settembre-8 dicembre 2004;

  • G. d'Annunzio, La figlia di Iorio, Treves, Milano 1904;

  • E. Duse, La figlia di Iorio: «Era mia, era mia e me l'hanno presa!». Lettere inedite di Eleonora Duse a Gabriele d'Annunzio, a cura di F. Minnucci, Ianieri, Altino 2004;

  • Euripide, Medea, a cura di L. Correale, Feltrinelli, Milano 2008;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. II, Youcanprint, Tricase 2017;

  • L. Piccioni, Storia del turismo in Abruzzo. Viaggiatori, villeggianti e intellettuali alle origini del turismo abruzzese: 1780-1910, Polla, Cerchio 2000;

  • N. Tommaseo, Dizionario estetico, Reina, Milano 1852.

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