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In dialogo a... singhiozzo con la mia terra d'origine


La facciata della Chiesa Madre all'infrarosso (foto: A. Mendozzi).

Ti guardo con gli occhi indolenziti dalla vòria e con dentro il cuore l'amarezza dell'assenzio.

L'incanto, con cui mi afferravi un tempo e quasi mi stregavi, sta cambiandosi in disincanto. Anche la solitudine, che in te cercavo e sempre trovavo come grembo fecondo di pensieri, affetti, sentimenti, rischia di trasformarsi in sterile isolamento.

E perfino il silenzio, in cui percepivo la tua voce più viva e più vera, sta cedendo il passo al mutismo sordo e greve. Sei forse il "paese della resa" in affannosa fuga dalla tua storia e dalle tue stesse forme?

Un tempo, pungolato da una invincibile nostalgia, tornando a te da paesi e città che hanno le "schiene abbassate" e ricurve in direzione di tratti di mare, al tuo primo apparire zufolavo e canticchiavo il motivo di un salmo biblico: «Alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l'aiuto».

Quante volte, in pubblici dibattiti, mi sono sorpreso a dire, nel senso di una sconfinante fierezza:

– Il mio Dio è il Dio della Montagna… Le civiltà nascono sui monti e vanno poi a impiantarsi a valle.

Che, forse, anche i monti sono in fuga da te, amara terra mia? O, se rimangono, si son fatti anch'essi melanconici per via del loro isolamento? La malinconia, "dagli occhi appannati", è una tristissima compagna. Provo a osservare i volti di coloro che ti abitano ancora. Sento - d'istinto - di ringraziarli per il coraggio di essere rimasti tra le tue mura.

Ma a me sembrano i superstiti di un esodo lento, continuo, inarrestabile, più distruttivo di un terremoto.

I miei occhi fissano i loro occhi e scopro la verità più desolata e desolante: sono l'avanguardia dei tempi ultimi, i primi di una ultima, definitiva generazione, cui sembra essere assegnato il compito di piantare la "bandiera bianca" su luoghi diventati dimessi e "dismessi".

Lo sguardo indugia, per una manciata di secondi, sulla scalinata che giammai mi stancavo di salire e scendere. E, ora che molti non ci sono più, è un vuoto a ogni gradino.

Non sono un fanatico nostalgico del passato e neppure un esaltato celebratore del presente.

Mai immemore del passato, vivo il mio presente proiettandomi verso il futuro nella dinamica della speranza - quella cristiana - che mi spinge a dire con accento profetico:

– Non è lontano il giorno in cui, stanchi e annoiati di realtà illusorie e di sorti che si sono rivelate né magnifiche né progressive, torneremo a vivere proprio nei luoghi dimessi e dismessi.

Per il grande Rigoni Stern, abbarbicato, fino alla fine dei suoi giorni, alle montagne della sua Asiago, era un auspicio. Per me è una speranza, che è l'architrave dell'essere umano. Appartiene alla nostra ontologia.

Altro che bel sogno fatto a occhi aperti! Piuttosto essa è la grande forza di tradurre il sogno in realtà corposa.

Amo dirlo con le parole di Mauro Corona, alpinista, scrittore, scultore del Friuli: «Speranza significa riscoprire la sapienza del cuore, che dà sapore alla qualità della vita».

Significa accontentarsi del sufficiente per una esistenza dignitosa. Non sfruttare questo pezzo così bello del creato; anzi, custodirlo con cura gelosa. Speranza significa riaprire le cose chiuse da decenni; riaprire gli stazzi; riportare in malga le mucche. Sperare vuol dire ripopolare la montagna.

Stiamo perdendo la nostra anima. O, forse, l'abbiamo già perduta? Nella parola anima è compreso il tutto: amore, fede, conoscenza. È compresa la vita stessa ma... riempita di senso e di significato.

E io amo pensare che per ritrovare la propria anima occorre ritrovare l'anima della montagna.

All'orecchio di ognuno di noi, tu - amata terra mia - sussurri le parole più giuste: – Dove sono le tue radici, là tu ritrovi te stesso e ritrovi anche Dio (se lo cerchi).

Là dove sai che è il tuo tesoro, là corre felice il tuo cuore. Tesoro è una parola di innamorati, di storie grandi, di passioni grandi. E la montagna è il tesoro, che sempre attende chi l'ama. Il tesoro è un dono e il dono non si compra: si riceve. La tua vita, la vita di tutti non è soltanto alimentata dall'ethos e dal logos (cioè dall'etica e dal pensiero) ma anche e soprattutto dalla Bellezza. Prima di essere etica, è estetica. Procede non a soli colpi di volontà ma anche per forza di attrazione. Avanza per fascino di Bellezza, per riserve di gioia, per seduzione di tesori.

Ricordalo: dove è il tuo tesoro là corre felice il tuo cuore.


Michele Di Lorenzo

 

Fonte: M. Di Lorenzo, In dialogo a... singhiozzo con la mia terra d'origine, in «Voria», II:5, Capracotta, dicembre 2008.

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