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D'estate andiamo a Capracotta


Panorama di Capracotta dalle pendici di Monte Campo (fonte: N. Mendozzi).

Tutti i pomeriggi, Pandora, la bella teen-ager dai lunghi capelli corvini, era solita fare lunghe passeggiate per le silenziose strade di Capracotta, un piccolo paese del Molise, posto a 1.421 metri d'altitudine in Provincia di Isernia; trovava che ciò fosse un ottimo invito alla riflessione. Luogo preferito, però, era il Belvedere, il punto più alto del paese nei pressi della Chiesa Madre, un posto tranquillo e rilassante, con vista mozzafiato sulla sottostante vallata del Sangro, dominata dalla catena montuosa della Maiella e delle Mainarde. Un giorno di agosto era ospite a casa sua la nonna, che, saputo delle passeggiate solitarie della nipote, le chiese se per quel pomeriggio poteva accompagnarla. Pandora accettò entusiasta, felice di accontentare la nonna.

– Allora andiamo a fare un giro sul Belvedere, te lo ricordi?

– Certo cara. Ricordo anche che per arrivare fin lassù c'è bisogno di fare tante scale e io non so se sono in grado di farcela. Te la senti di accompagnarmi lo stesso?

– Eh mia cara nonnina. L'età comincia a farsi sentire veroooo? Sì, ti sarò di sostegno. Non preoccuparti, per oggi sarò la tua accompagnatrice.

E s'incamminarono verso la meta.

– Cosa ci trovi, nipotina, di tanto divertente nel percorrere tutti i pomeriggi, da sola, la stessa strada?

Pandora, immaginando che nessuno avrebbe mai potuto comprendere quello che faceva precisò:

– Nonna, io vengo qui perchè questo è un posto poco frequentato, è per me un rifugio, un modo per scappare dal grigiore della città, dalla realtà che mi circonda quotidianamente.

– E dimmi un pò, tesoro, hai degli amici qui?

– Sì nonna! Qui conosco solo persone meravigliose che rendono Capracotta altrettanto straordinaria. Ho tantissimi amici, molti dei quali sono costretta a vedere solo una volta all'anno, ma fortunatamente questo è diventato il nostro punto di incontro. Dopo esserci persi, ci rincontriamo qui, questa è l'unica cosa che mi rallegra. La lontananza è davvero triste, però rafforza i rapporti e ogni volta che ci rivediamo ci sentiamo tutti un po' più legati.

Proseguivano lentamente. La nonna rimuginava sulla risposta di Pandora e incuriosita dalle sue parole chiese ancora:

– Sono contenta delle tue frequentazioni e del piacere che provi a stare a Capracotta ma cosa fate voi, giovani di oggi, di così straordinario, per desiderare tanto di trascorrere i mesi estivi in paese?

– Cose semplici e gratificanti. I ragazzi che, qui, trascorrono l'estate come me, trovano sempre modi efficaci per divertirsi, e quando non li trovano, se li inventano. Ci si diverte sempre, nonostante ci siano poche attrazioni e poca vita frenetica. Il piacere è stare in compagnia. Di giorno si organizzano scampagnate, se il tempo lo permette. Le mete preferite: Monte Campo, Pescobertino, le Mura

Ciclopiche, Prato Gentile, Monte Capraro, la Fonte Brecciaia. Invece quando si resta in paese si passeggia per il Corso, si sosta alla Villa comunale, si va alla Madonnina, insomma si chiacchera, si ride e si scherza. Di sera, invece, si fanno altre cose. Le nostre sono, solitamente, serate "da sballo". C'è chi preferisce passeggiare sotto quel meraviglioso cielo stellato, chi se ne sta seduto ai tavolini del bar a chiacchierare con gli amici, chi beve, chi si trastulla in sala giochi impegnato in continui tornei di bigliardino, chi canta, chi balla e chi si scatena fino a notte inoltrata. Ognuno fa quel che gli pare, con estrema moderazione, senza esagerare. Nella tipica estate capracottese, insomma, non ci sono regole, o

meglio a farle siamo noi.

– E tu nonna, ci venivi d'estate? Avevi tanti amici? Cosa facevi durante la giornata?

– Anche tu sei curiosa di sapere eh...? Sì, Pandora. Noi, come te, ci divertivamo tanto, anche se i tempi erano diversi, i nostri genitori un po' più severi, non tutto ci era permesso, ma a nostro modo eravamo felici.

Dopo poche centinaia di metri si trovarono di fronte alla rampa di scalini. Erano arrivate alla meta. Pandora aiutò la nonna a salire i gradini e raggiunsero il Belvedere. Si appoggiarono al muretto e la vallata del Sangro e il massiccio montuoso delle Mainarde e della Maiella si impose maestoso alla loro vista. La fanciulla esclamò:

– La salita sarà stata pure dura, ma la vista da qui è spettacolare. Non credi?

– Certo, sono perfettamente d'accordo con te tesoro! La vista è unica, merita una sosta ben più lunga.

Il panorama era davvero meraviglioso. Pandora continuò:

– È il posto in cui tutti i pensieri vanno a nascondersi, non è solo bello, è pure magia. Il paradiso non è in cielo, è qui.

La nonna le sorrise:

– Non credevo, mia cara, che questo luogo facesse provare a te quelle stesse sensazioni che per tanti anni mi hanno resa felice e continuano a farmi felice, nonostante i cambiamenti che ha subito.

E mentre le due donne si godevano lo spettacolo del meraviglioso panorama ed erano immerse nei loro ragionamenti furono distratte da Gianfilippo, un professore in pensione sulla sessantina a spasso anche lui da quelle parti.

– Che fate tutte sole da queste parti? – esordì l'anziano compaesano.

La nonna con altrettanta baldanza rispose:

– E tu che ci vai facendo?

– Passeggio approfittando della bella giornata – fu la risposta dell'uomo.

– Ed è quello che facciamo anche noi. Ne stiamo approfittando anche per scambiarci quattro chiacchiere visto che da alcuni anni viviamo lontane – replicò la nonna, mentre Pandora ascoltava in silenzio.

– Immagino quante cose vi siete dette e quante ne avrete da dirvi – rintuzzò il professore.

– Tra le tante cose, replicò la nonna, stavamo parlando anche del modo di divertirsi dei giovani di oggi a Capracotta. Un divertimento sano, per quello che mi sta raccontando mia nipote, che perpetua la tradizione della gioventù capracottese di ogni tempo.

– Questa è una bella notizia, temevo che i giovani di oggi avessero preso strade pericolose.

– Pensavi male caro signore – puntualizzò Pandora.

– Non volevo offenderti, graziosa fanciulla, anzi sono contento per questa tua puntualizzazione. Allora vi lascio alla vostra conversazione.

– Se vuoi, professore, ci puoi fare compagnia e unirti alla nostra chiacchierata – replicarono le donne.

– Con piacere – annuì l'anziano amico.

– Anche tu sei molto legato a Capracotta? – gli chiese la nonna.

– Moltissimo, perché io ho sempre avuto il meglio di quello che dava e dà il paese.

– Che significa? – irruppe Pandora.

– Significa che mi sono sempre divertito.

– Quale era il modo di divertirvi ai vostri tempi? – insistette ancora la bruna fanciulla.

– Un po' come fate oggi voi e un po' con quello che il paese offriva in quel tempo. In ogni modo, se volete, posso raccontarvi un po' delle mie esperienze.

– Certamente, – risposero le donne – anche perché, precisò la nonna, tu sei stato uno di quelli che ha fatto parte della gioventù bruciata di allora.

– Non esageriamo, sono stato uno di quei tanti studenti che passava i mesi di vacanza a Capracotta da fine giugno a metà settembre, praticamente quasi tutte le vacanze scolastiche.

– Interessante, avrai davvero tante cose da dirci. Dai, raccontaci – caldeggiò Pandora.

– Il momento più bello dei ricordi capracottesi, esordì Gianfilippo, è sempre stato il giorno del ritorno in paese. Il giorno più brutto, invece, quello della partenza. Si gioiva al momento del ritorno, si piangeva al momento della partenza. Quand'ero giovanotto, devi sapere, Pandora, si tornava a Capracotta una volta l'anno e solo nel periodo estivo. Non c'erano auto, quindi non era così facile ritornarvi. Per questo quando si andava via si era tristi. Il magone ti pigliava la gola e il pianto ti assaliva. Oggi è diverso, dispiace andare via, ma se uno vuole può tornarci, senza difficoltà, quando vuole.

– Come impiegavate il vostro tempo? – incalzò Pandora.

– Il divertimento a Capracotta ha sempre avuto tempi e modi specifici. Mi spiego. Da ragazzini il tutto ruotava intorno al quartiere. Si costruivano i casotti, si giocava alla guerra, a pallone. Da adolescenti si cominciava a frequentare la Villa, la Piazza e a corteggiare le ragazzine. Da giovanotti, invece, si raggiungeva l'apice del divertimento anche con azioni birbantelle. I ricordi più belli che ho sono quelli dai sedici anni in poi. Di giorno, di solito, ci si divertiva in Villa giocando a tamburelle, a chiacchierare, a fare conquiste e ad oziare tra amici e amiche. Il pomeriggio, spesso, noi maschietti giocavamo a calcio impegnandoci in tornei cittadini e in confronti con squadre dei paesi vicini. Normalmente, però, si andava a ballare. Frequenti erano anche le scampagnate come fate ancora voi, oggi, e le passatelle a carte ai bar di Bernardo e di Taccone senior. Una delle stravaganze più colorita che mi ha lasciato il segno è stata quella vissuta nell'estate del 1962. Quell'anno sangiovannari e santantoniani ci mettemmo assieme e costituimmo un'unica comitiva. Eravamo, tra ragazzi e ragazze, circa 60 giovani e per distinguerci decidemmo di indossare un foulard al collo e ci chiamammo i foulardati. Un'esperienza bellissima. Il campo base era localizzato nella casa di z' Monache. Tutti i pomeriggi si ballava e si passava il tempo in allegria.

– La casa era completamente a vostra disposizione? – interruppe Pandora.

– Sì, confermò Gianfilippo, per il semplice fatto che i genitori e gli zii dei nostri amici proprietari non erano a Capracotta. La casa di z' Monache, però, fu luogo di divertimento anche negli anni successivi. Affascinati da quello che accadeva a Rimini e a Riccione, alcuni amici o vitelloni nostrani pensarono di trasformare l'ex stalla dell'abitazione in night. Furono tappezzate le pareti, installato un piccolo impianto stereo, sistemati dei posti a sedere ed essa diventò, per alcuni anni, una piccola discoteca, il ritrovo della meglio gioventù capracottese. Si ballava sulle note di "Strangers in the night" di Frank Sinatra, "Sognando California" e su tante altre canzoni dei favolosi anni Sessanta. In prevalenza erano brani musicali del genere slow, di tanto in tanto, però, si inseriva anche qualche hully gully e cha cha. E qui quanti amori sono nati e sono finiti!!!

– Quello che dici conferma che a Capracotta il divertimento è sempre stato inventato e costruito da sé, proprio come facciamo adesso anche noi.

– Dici giusto Pandora, la fantasia e l'operosità non ci sono mai mancate – confermò Gianfilippo

– E le azioni birbantelle, – chiese curiosa Pandora, – a cosa si riferiscono?

– Diciamo che più che birbate sono state delle bravate al pari di quelle che ogni generazione di giovani ha sempre praticato in paese. Oggi non so, semmai sarai tu Pandora a precisarle. Ma fino alla mia generazione, quindi ti parlo degli anni fine Sessanta-inizio anni Settanta, i giovani più temerari si dilettavano a intrufolarsi nei pollai per torcere il collo a qualche gallina o pollastro per poi mangiarli in compagnia a cena. Spesso si visitavano anche le soffitte dove stagionavano salumi, formaggi ed altre scorte per l'inverno. Per alcuni, però, l'attenzione si spostò sulle amarene sotto spirito. E in quegli anni molti barattoli sparirono dai davanzali delle finestre delle soffitte dove venivano lasciati a maturare. Tutti i malcapitati ci restavano male ma l'incazzatura era momentanea perché tutti sapevano che erano scherzi, anche se di cattivo gusto, di giovanotti in vena di divertirsi. Spesso c'era la complicità anche di qualche giovane parente delle vittime.

– Scherzi davvero di cattivo gusto – aggiunse Pandora.

– Ricordo quel periodo – irruppe la nonna, – e ti dico che davvero molta gente si arrabbiò.

– Tu, caro professore, – chiese Pandora, – hai mai partecipato a queste spedizioni?

– Io non l'ho mai fatto, – rispose l'anziano interlocutore. – Primo perché avevo paura e secondo perché la sera ad una certa ora dovevo rincasare altrimenti mi lasciavano fuori.

– Ma tutti si divertivano a Capracotta? – chiese ancora Pandora.

– Il divertimento era, soprattutto appannaggio di noi studenti. Gli artigiani, come chiamavamo i giovani avviati ad un mestiere, non avevano il tempo per dedicarsi a queste stravaganze. Il loro era un divertimento più misurato.

– E le donne che ruolo hanno avuto in quel periodo? – insistette Pandora. – Le ragazze locali al pari delle artigiane non godevano della libertà delle ragazze di fuori. Quelle di fuori si divertivano come noi maschietti, le locali si divertivano di meno.

– Come vivevate il sesso in quegli anni? – incalzò Pandora.

– In maniera molto misurata, cara Pandora. A quei tempi per noi era sufficiente tenere tra le braccia la ragazza e ci si accontentava del bacio e della stretta. Oltre era difficile andare. Ci accontentavamo de r' piette calle (abbracciati con passione).

– Vedo, caro Gianfilippo, che continui a frequentare il paese, ci sei ancora molto legato?

– Chi ama Capracotta è perché l'ha vissuta, chi non l'ha vissuta non l'ama. Io ho avuto la fortuna di averla vissuta e di viverla ancora e questo fa si che io porto sempre nel cuore il paese e ci torno appena mi è possibile. E tu cara nonna di questa bella fanciulla non hai nulla da aggiungere?

– Con tutti questi tuoi ricordi mi hai fatto ritornare alla mente i momenti felici della mia giovinezza. I primi amori, i primi balli, le sgridate dei genitori e, soprattutto, il piacere di stare in compagnia, parlare con le amiche e con gli amici delle nostre ansie, dei nostri progetti, dei nostri desideri. È stato un periodo favoloso e lo è tuttora, anche se sotto altre forme perché Capracotta è quello che è, e non ho ancora trovato nulla di meglio al mondo. Speriamo che questi giovani continuino a mantenere vivo il legame con il paese in modo che avrà un futuro ancora molto lungo. Da quello che mi ha espresso, la cara nipotina, credo che lo faranno e questo mi rallegra.

Il chiacchiericcio dei bambini, che avevano preso d'assalto i giochi del Belvedere, riportò i tre interlocutori alla realtà. Si era fatto tardi. Pandora e la nonna si congedarono dall'anziano paesano e ripresero la strada di casa. La nonna si guardava intorno, era felice. Aveva ritrovato quelle dolci essenze, che l'avevano trasportata in una dimensione surreale. Era come d’un tratto ritornata adolescente. Aveva ripreso la voglia di vivere. Era euforica.

– Era da tempo che non mi accadeva una cosa del genere. – Esultò l'anziana signora e complimentandosi con la nipote per i sani principi che la ispiravano concluse – In tempi come questi in cui tutti dicono che i sentimenti semplici e nobili delle nuove generazioni siano andati perduti, mi rallegro quando vengo a sapere che non per tutti i giovani è così. Tu, mia cara, sai apprezzare i veri valori della vita, sai che l'odio e il disprezzo non portano da nessuna parte. Abbiamo tante cose in comune io e te, soprattutto l'amore per Capracotta. Grazie per avermi portata qui...


Fabiola Autiero

 

Fonte: F. Autiero, D'estate andiamo a Capracotta, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. I, Cicchetti, Isernia 2011.

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