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Facciamo chiarezza sulla Torre


L'abbattimento della Torre dell'Orologio nel 1970.

Vedere la fotografia dell'abbattimento dell'antica torre orologiaria di Capracotta è un colpo al cuore per tutti noi. Era il 27 agosto 1970 quando una squadra di operai terminò di picconare il feticcio turrito. Il nodo della questione sta infatti tutto lì: quella abbattuta nel '70 non era più la Torraccia del XV secolo ma una sua brutta copia. A guardar bene la fotografia si capisce come essa, al momento della demolizione, non avesse più nulla di storicamente pregevole: oramai sembrava un silos di stoccaggio di derrate alimentari.

Ma andiamo per ordine.

I contributi scritti più organici sulla storia recente della torre capracottese sono firmati dall'ex sindaco Antonio Vincenzo Monaco (qui) e dall'ex medico condotto Antonio Di Nardo (qui). Se il primo ci illustra le vicissitudini burocratiche che dal 1963 in poi portarono all'abbattimento dell'edificio, il secondo prova a raccontare il "non documentabile", ovvero le schermaglie personali che, tra il 1952 e il 1970, portarono all'effettiva demolizione della Torre.

Anticamente i torrioni erano due, gemelli, tant'è che nell'apprezzo feudale del 1671 il tavolario Donato Antonio Cafaro scrive che «solamente vi è rimasto uno, dove è la porta detta Nova, dove stà l'orologgio». Col passare dei secoli quella torre si è indebolita sempre più e, all'indomani della Seconda guerra mondiale, mostrava preoccupanti lesioni che dalla nicchia della fontana raggiungevano il tetto. Nel primo piano di ricostruzione generale, approvato il 15 luglio 1950 dal Ministero dei Lavori Pubblici (decreto n. 2722), la Torre dell'Orologio risultava però tra gli «edifici intatti o completamente ricostruiti» ma il Comune di Capracotta, amministrato da Gennaro Carnevale (1946-55), nel 1952 lo restaurò arbitrariamente, tant'è che dopo quel "restauro" la Torre perse ogni valore storico, configurandosi come un esempio raffazzonato di architettura popolare.

È questo il momento in cui Capracotta perde realmente il suo monumento!

A tal proposito il dott. Di Nardo scrisse che «la torre era stata letteralmente, irrimediabilmente cancellata da una murata di bolognini e da intonaci di cemento. Il tetto a lìsce era stato rimosso e sostituito da un terrazzo in cemento armato recintato da una ringhiera in ferro», così com'era stato rimosso l'archetto in pietra che sorreggeva la campana. Per sostituire le parti più antiche e rivestire il corpo del manufatto la ditta appaltatrice aveva «adoperato tutti i bolognini elaborati nei cantieri della disoccupazione ed ammucchiati in prossimità del campo sportivo». I lavori di restauro, a differenza di oggi, vennero realizzati da operai non specializzati: a quello scempio parteciparono infatti tutti i disoccupati di Capracotta, sarti, contadini, pittori, calzolai ecc. La decisione di stravolgere la Torraccia fu legata anche a questo: a far lavorare le persone che si trovavano in stato di indigenza.


Sistemazione della "Terra Vecchia", 12 novembre 1953.

Come ci conferma Monaco, il terzo lotto del piano di ricostruzione, approvato il 12 novembre 1953 dal Ministero dei Lavori Pubblici (decreto n. 3295), interessava «anche l'abbattimento della Torre dell'Orologio» e del fabbricato retrostante, per i quali veniva sancito il «divieto di riedificazione». Questo era il segno che il Comune - di cui Nicola Ianiro era sindaco pro tempore - dopo aver "sostituito" la Torre, aveva ormai deciso di buttarla giù. Ma la necessità di demolire torrione e fabbricato retrostante era diretta emanazione delle idee di grandeur urbanistica che, sospinte da Noè Ciccorelli (1895-1976), montarono presso buona parte della comunità capracottese e che prevedevano il prolugamento di corso S. Antonio fin sulla Terra Vecchia, nella speranza che dalla Chiesa di S. Antonio si potesse scorgere il sagrato della Chiesa Madre.

Dal 1953 al 1970, dunque, le decisioni politiche del Comune di Capracotta circa la torre orologiaria sono ruotate attorno a questo: osservare quanto prescritto dal piano di ricostruzione che imponeva l'abbattimento della Torre o sorvolare sugli obblighi di legge, assumendosi la responsabilità politica (e penale) di un tale atto.

La cronistoria che Antonio Vincenzo Monaco fa nel suo contributo è sostanzialmente impeccabile, nel senso che racconta con dovizia di particolari l'altalenante iter burocratico. Questo si interrompe più volte a causa delle rimostranze dei proprietari dell'abitazione dietro la Torre; altre volte il processo accelera sotto la pressione del Ministero dei LL. PP. e della Soprintendenza ai Monumenti degli Abruzzi e del Molise. Fatto sta che sotto le giunte di Vittorino Conti (1955-60) e di Carmine Di Ianni (1960-65), pur ripresentandosi a ondate l'urgenza di abbatterla, la nuova torre in stile I.A.C.P. continuò a scandire le ore dei capracottesi.

Nel 1965 si riaffacciò, con inenarrabile e definitiva prepotenza ideologica, il dilemma della demolizione della Torre, che vide coinvolte persone ancor oggi in vita (interne ed esterne al consiglio comunale) per cui sarebbe irriguardoso addossar loro responsabilità dirette.


La torre prima della guerra, nel dopoguerra e il murale odierno.

Dirò soltanto che tra il 1965 e il 1970 quella benedetta torre diventò l'ago della bilancia delle lotte politiche cittadine, che si inseriscono in una vera e propria quiŝtióne capracuttése: una disfida che in realtà durava da ben prima della Grande Guerra e che vedeva scontrarsi le due farmacie (chiamate "partiti") di Capracotta. Una delle due fazioni, quella del dott. Filiberto Castiglione, era a favore dell'abbattimento della Torre, così da godere di maggiore spazio di fronte alla propria attività. L'arma di ricatto utilizzata dal "partito" Castiglione stava nel fatto che l'altra farmacia, quella di Alfredo Conti, esercitava la professione in assenza delle dovute garanzie deontologiche e legislative.

A ciò si aggiunga che il proprietario della ditta appaltatrice (di cui non farò il nome), grazie a "mirate insistenze" presso il Ministero dei LL.PP., riuscì a travalicare qualsiasi delibera comunale, pur di accelerare il processo di demolizione della Torre. All'indomani dell'insediamento della nuova giunta guidata dal notaio Michele Conti, avvenuto l'8 giugno 1970, il feticcio della Torre dell'Orologio venne buttato giù, ponendo fine all'unico glorioso - ma ormai indecoroso - testimone della Capracotta quattrocentesca.

Concludo dicendo che, per comprendere a fondo la vicenda della Torre e per non incorrere nelle fesserie che spesso si leggono sui social network, è necessario immergersi nello spirito del tempo - lo Zeitgeist, come dicevano i filosofi tedeschi -, un'epoca nella quale nessuno protestò per l'abbattimento della Torraccia, nessuna manifestazione fu indetta, nessun comitato cittadino fu istituito. Basti pensare che nel 1963 persino la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio, l'organo deputato dallo Stato a conservare il patrimonio storico-artistico del Belpaese, si era detta favorevole alla demolizione. Secondo voi oggi chi si assumerebbe la responsabilità di modificare totalmente un edificio medievale o di abbatterlo nel silenzio generale?


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • M. Conti, Capracotta il "mio" paese, Capracotta 2016;

  • A. Di Nardo, Sfogliando le memorie, Mancini, Tivoli 2005;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • A. V. Monaco, La Torre dell'Orologio, in «Voria», III:1, Capracotta, agosto 2009.

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