top of page

La fontana di San Giovanni, aristocratica e ammonitrice


La fontana di San Giovanni nell'inverno del 2019 (foto: F. Roselli).

La fontana di San Giovanni fu costruita in pietra viva nel 1890 per permettere l'approvvigionamento idrico degli abitanti di quel quartiere, dato che l'abbeveraggio degli animali era delegato al pilone pubblico distante soli 100 metri, di fronte all'attuale busto in bronzo di Emanuele Gianturco.

La fontana ha una lunga storia tanto che quest'anno ha festeggiato il 130mo anno di vita. A guardarla bene, pare avere una testa "aristocratica" con due belle ciocche di capelli al vento, ed occhi di bronzo, di lato due spessi pendenti: di certo gode di ottima salute, pur avendo testato e tastato due guerre mondiali e due pandemie.

Esporre all'altrui attenzione i miei ricordi d'infanzia, legati a questa fontana, potrebbe essere per me imbarazzante e difficoltoso, in quanto potrei cadere in un atteggiamento troppo personalistico, viziato da commenti soggettivi, per cui cercherò di non cadere nella retorica, precisando di volta in volta il mio pensiero su ciò che ho vissuto e su ciò che la fontana "ha da dire". Dalla sua posizione, infatti, essa ha potuto scrutare ed esaminare l'andirivieni di tanti capracottesi, indaffarati sui 100 metri di via San Giovanni.



Ha visto persone tornare dalla frutteria di Giovanni "Squarcione" Monaco, dalla cartolibreria di Bambina e del maestro Onorino, dall'alimentari di Giacomo Venditti, dal sale e tabacchi di Alfonso Dell'Armi, dove ho visto per la prima volta le banane che, essendo prodotti di importazione, erano allora sotto il controllo dei monopoli di Stato.

Ha visto persone intente a sgomberare il quartiere dai cumuli di neve da smantellare giù "Sotto la Terra" attraverso due tombe, di cui una attualmente libera nell'attraversamento e l'altra chiuso da un portone per evitare che le gelide folate di vento provenienti da nord sferzino inesorabilmente, anche in periodo di calma, il borgo del Cutturieglie.

Ha visto e sentito per tanti anni gli schiamazzi e le urla di noi giovincelli cresciuti a pane, acqua e zucchero, avventarsi contro una misera palla nell'intento di saggiare il giuoco del calcio. Come porta usavamo infatti la fontana stessa la quale, nonostante avesse pali di grande spessore, non aveva traversa e, come spesso accade, dove c'è una porta da calcio lì c'è una finestra a vetro. Nel nostro caso era quella di Antonino "Cacapaglia" Carnevale, la cui finestra inesorabilmente andava in frantumi e noi, evanescenti e fuggiaschi, lo vedevamo il più delle volte con la finestra sotto l'ascella recarsi da Vincenzo "la Furnara" Sammarone, il falegname del quartiere, che comprendeva la precaria situazione del momento e cercava i tutti modi di aggiustare i danni nonostante il vetro fosse di difficile reperibilità.

In moltissime circostanze l'intervento o la presenza della guardia municipale Antonio "Catena" Sammarone permetteva ad Antonino di dormire e mangiare tranquillo per un certo periodo, almeno fino al successivo, scontato, incidente di percorso.

Fra questi originali e autentici personaggi di San Giovanni non posso fare a meno di sottolineare una figura di spicco spesso sottovalutata ma che era la disponibilità e l'umiltà fatte persona: Mario "Nigghione" Paglione, dirimpettaio nonché grande amico di Erasmo Iacovone, il quale riuscì a dar vita a una squadra di calcio con uno scalcinato gruppo di ragazzi. Per oltre un decennio, tra gli anni '70 ed '80, la squadra di calcio diventò un elemento di socialità per l'intera popolazione di Capracotta.


Mario Paglione e le compagini del Capracotta tra il 1969 e il 1980.

Il calcio di allora non era solo uno spensierato hobby perché il presupposto reale del rivaleggiare con le altre squadre - e che il presidente Paglione ci teneva a ricordare sempre prima di scendere in campo - stava nell'attaccamento alla maglia e al paese.

Quando oggi mi avvicino alla fontana la osservo attentamente, e anche se non lo dà a vedere mi pare gonfia di nostalgia, le ricordo di quella spensierata gioventù che le faceva compagnia e che giocava con "lei". E lei, di rimando, con quell'aria di sussiego, sembra sussurrarmi, con parole trasportate da una folata di vento, che sopra la sua testa c'è una meridiana che scandisce inesorabile il trascorrere del tempo e che alla sua sinistra c'è il vetro d'una finestra, vuole nel contempo ammonirmi sull'imprevedibilità e labilità dell'esistenza, pare voglia dirmi che basta una pallonata per fermare il gioco...


Filippo Di Tella

bottom of page