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L'intreccio familiare


Lo scrittore Raffaele Castelli.

– Vai.

– Dici che possa andare... – Brigitte non era del tutto sicura, poche erano le volte in cui lei, con quel SUV nuovo, viaggiasse da sola verso Perth.

– Hai l'appuntamento! Non vorrai che mi sottoponga di nuovo a una seduta psicanalitica io!

– Perché? Ti farebbe male?

– Senti, Brigitte. Stai tranquilla. Hai detto che vuoi sapere che cosa sia venuto fuori dall'analisi mia, devi riportare indietro il libro al dottore e devi anche saldare, speriamo, la parcella.

– Sì, ma se ci serve ancora?

– Chi?

– Non abbiamo finito.

– E allora vorrà dire che daremo altri dollari, che problema c'è?

– Non mi sento bene.

– La strada la conosci, hai il navigatore...

– C'è il cortile condominiale per il parcheggio...

– Lo vedi? Non troverai difficoltà per fermarti.

– Lo vuoi leggere anche tu? è un bel romanzo, ti farà ridere e ti terrà in tensione positiva.

– Mi terrà?... – Adam pensò un attimo che cosa rispondere alla moglie, questa non parte, cerca scuse. – L'ho letto già.

– E quando?

– Ti dico che l'ho letto... se non lo conosco io! – e si meravigliò verso altri che erano soltanto lei, in quel momento. Ma da come dondolò la testa, in segno affermativo, significò che doveva essere la pura verità.

– Vuoi vedere che lo hai scritto tu... ehehe...

Ehehe... – risero in due e un piede pigiò sull'acceleratore, il SUV si mosse e la giornata poté cominciare.

Che sia benedetto Dio, disse qualcuno nella Swan Valley australiana. Poi due mani si poggiarono sulla faccia, la strofinarono all'altezza degli occhi, più volte, su e giù, e stirarono con i polpastrelli le sopracciglia, quasi che si dovesse vedere meglio il tempo che scorre. Infilò la chiave nella toppa della cantina, la stessa, a piano terra, che aveva il leone seduto a impaurire i ragazzini.

"Certo che l'ho combinata grossa. Brigitte non ci arriverà mai a capire il motivo. Lei ha bisogno di un intervento esterno. Con la fissazione di un figlio. Ha passato anche a me questo pensiero, come un raffreddore che non va mai via". Rise. "Era tutto per il bene della famiglia, perché anche due uniche persone la possono formare, forse anche una sola, chissà".

Tutto legno, Adam non aveva badato a spese, il suo Pollino rosso superiore meritava di essere trattato come un principe dei vini, qual era sul serio. Perciò quel locale era come una enoteca a pagamento, del tipo dove si degusta, si beve, si accompagna un buon bicchiere con qualcosa di appena salato. I tarallucci della Calabria, con rosmarino, peperoncino, cipolle, queste sì, non le ananas di Davide, che lo possano glorificare per ciò che combina!

Il deposito con le botti era nell'interrato, un ambiente privo di luce naturale e ben aerato, per custodire il prezioso liquido sempre alla stessa temperatura e umidità relativa. Su questo c'erano stati anche degli studi di tecnici dei vigneti e del vino stezzo. Anzi, persino il sistema dinnaffiatura delle radici, nel terreno, era stato valutato e programmato con cura maniacale, perciò il prezzo delle bottiglie era un tantino alto: ciò che vale, si paga. Tutto computerizzato. Osservò la consolle che governava il fuori e il dentro, tutto il processo dalla natura alla tavola, quasi. Sorrise a sé stesso. Guardò il bancone, tutto in fila, pareva che ci fossero dei soldatini che mostrassero ben in vista l'etichetta: Adam Aricò, azzurra su sfondo color crema e, in basso, la sua Calabria, il piede dell'Italia.

"Quello ha ragione, me l'ha detto tante volte, io ho soltanto bisogno di scoprire le mie radici. Secondo lui, ha lo stesso parere di Brigitte, non è nemmeno necessario che davvero sappia chi sia mio padre: basta che ci provi e la mia coscienza di placherà, e così il mal di testa". Pensava mentre sistemava i bicchieri, come se si aspettasse che qualcuno dovesse arrivare da un momento all'altro. Erano un po' di giorni che nessuno veniva nella sua cantina ad assaporare il Pollino. In genere almeno un paio di visite per settimana c'erano. Osservò l'orologio, quasi che ci fosse un appuntamento oppure una specie di sensazione particolare. Stappò una bottiglia e ne bevve un goccio. Anche a digiuno era speciale, se lo trattenne sulla lingua, bisognava prima riscaldarlo in bocca, era una procedura che gli avevano insegnato i sommelier e che lui stesso indicava agli altri. Così si sente di più il gusto, il vino rosso mai freddo. E poi che colore, in trasparenza si vedono le inflessioni, come nuvole traslucide, allegre, che cambiano timbro inclinando il calice, una musica celestiale. Mette allegria nel corpo, pace nella mente e vita nell'anima. Rise anche lui, mentre sollevava il bicchiere al sole.

Fu così che vide salire verso la sua casa un gruppo di ragazze vocianti. Ecco le gitanti, si disse. Bevve di colpo e sciacquò. Si preparò.

Good morning, come in... come in... – con il gesto della mano invitava a entrare.

Good morning – risposero in coro.

Poi sorrisi e strette di mano.

Adam si espresse in inglese, riempì vino per tutti e brindò alzando il braccio a farsi vedere anche da chi era più indietro. Poche altre parole.

Like an italian wine! – provò a esprimersi per avere qualche commento.

Like... – rispose una di loro. Erano delle giovanette, un solo uomo era in disparte.

Like che cosa? Ma lo sanno che il linguaggio è anche ridicolo e che ci sono significati differenti per le stesse parole? Like che vale come, oppure che vuol dire gradisco? – non parlò a bassa voce. Usò l'italiano, come se ce l'avesse con sé.

– Gradisco... come no, gradisco, gradiamo tutti qui.

– Ma... parlate italiano?

– Noi siamo italiani.

– Urca... che bella sorpresa! anch'io sono di origini italiane, della Calabria per la precisione, mia madre.

– Don Cesare vieni qua, vieni! – quella stessa ragazza invitò il tizio che si apprestò a farsi avanti con il suo organetto.

Era un uomo con occhiali e un viso allegro e semplice, sembrava che fosse la guida della situazione, fece un inchino e diede di nuovo la mano.

– Sono di Capracotta – disse.

– In che senso? – Adam non comprese la battuta.

– Il mio paese si chiama così, Capracotta, sulle montagne del Molise, ai confini con l'Abruzzo. Loro sono tutte di Lanciano. Sono il loro parroco. Abbiamo organizzato un viaggio in Australia per venire a visitare i tanti parenti di ciascuno di loro. Qui a Perth.

– Ah... ho capito, mi fa molto piacere. Molise?

– Io sì.

– Un momento. – Adam trovò David sulla rubrica del cellulare e fece squillare il telefono. – Vieni – disse, – ci sono delle amicizie per te...

Ma sto sistemando il locale, oggi è giorno di chiusura e mi dedico alle pulizie...

– Dico una sola parola: Italia. – Chiuse senza attendere altro. Non si era accorto che don Cesare stava già intonando una canzone tipica e tutta la comitiva ballava e cantava:

"Calabrisella mia, calabrisella mia, calabrisella mia, facimmu ammore".

Fu allora che giunse David il quale scoppiò in una risata irrefrenabile, capì tutto. Non ancora sapeva di don Cesare e della sua Capracotta. Dopo, quando lo spettacolo finì, si scambiarono le rispettive impressioni.

Il prete disse del suo luogo di origine, David se ne venne fuori di nuovo con le Civitelle e le mura megalitiche dei Sanniti, talché qualcuna lo guardò, grande e grosso e dovette girarsi per nascondere la propria ilarità. La stessa che, forse anche per un nuovo bicchiere di vino rosso, e due tarallucci piccanti, divenne travolgente e complessiva.

Ci volle del tempo per riuscire a sapere come si chiamasse quello strumento così semplice, a prima vista, e capace di accompagnare con musica chi canta.

– Si chiama da noi du bott' – illustrò don Cesare, – ha gli accordi in do, sol e fa.

– Ah... – Adam alzò la testa a significare che avesse capito bene, ma non era vero.

– È facile da impararlo, se è questo che t'interessa.

– Oh... – era proprio quello che intendeva.

– Come per tutte le cose della vita, ci vuole passione e pazienza. Non s'impara nulla in un giorno, ma poi ci saranno soddisfazioni.

– Ne sono più che sicuro.

Si dera avvicinata la ragazza che aveva tentato di parlare all'inizio, in inglese. Aveva detto di chiamarsi Carolina.

– Mi piacerebbe restare a lavorare qui. Da noi c'è una crisi terribile e non si trovano posti di lavoro.

– Ne abbiamo sentito parlare in TV. Se ti piace, qui da noi si lavora, anche molto, però non è tutto immediato come sembra a chi arriva per pochi giorni. Però sai che ti dico?

– Che cosa?

– Che ciascuno di noi vorrebbe vivere altrove... – si accorse di avere toccato quel tasto di cui si parlava con il dottor Mario. Allora è proprio così. Questo mal di testa è solamente una questione psicologica. Mi passerà.

Don Cesare aggiunse altre sue considerazioni che Adam non capì. Non le sentiva, gli pareva di avere le orecchie otturate, vedeva David ridere, le altre ragazze attorno a loro e le parole che parevano ovattate e incomprensibili. La mente pareva che non funzionasse, come se un vetro capace di assorbire i rumori si fosse posto fra sé e gli altri. Gli altri, si disse. "Ma io chi sono?". Adesso non era più certo di stare bene, che avesse il cervello a posto e che Brigitte non fosse lei a preoccuparsi di lui, non il contrario. Era diventato serio di colpo, certi pensieri non li puoi nascondere a nessuno.

– Adam?

Sentì.

– Adam... come stai? – Era il prete che doveva avere una propensione a leggere l'animo umano.

– Adam! – Questa era la voce di David.

– Sì, ci sono... – quasi che era assente fino a poco fa. Provò a ridere, si voltò per non farsi guardare in faccia, prelevò sue bottiglie, poi le altre fino a contarne tante quante erano le persone in quel locale. – Ci siamo? – disse alla fine.

– Ci fai dei regali? – chiese di nuovo il prete. Era vestito in borghese, non sembrava un parroco italiano. Forse solamente i capelli corti e ben curati dimostravano la sua vocazione religiosa. – Ti sei emozionato? Vero?

– Un attimo di distrazione... mi sono... – allargò le dita, le fece frullare come a voler dire di essere andato di qua e di là con la mente, che sono cose che capitano quando hai davanti persone gradite e, in un certo senso, familiari.

– Sì, capisco.

– Queste bottiglie sono un dono per ciascuno di voi, sperando che ricordiate di me e della mia cantina di origine calabrese: Adam Aricò e il suo vino Pollino rosso superiore – non fece in tempo a finire che ricevette un abbraccio da parte di ciascuno.

Quando il vociare di poco prima scemò e finì, la cantina parve risposare come in un cimitero. Si espresse male il proprietario, fu guardato con sospetto da David.

– Che c'è?

– Sei sicuro che il tuo medico ti abbia consigliato bene?

– Senti, non ti ci mettere anche tu.

– Mi hai sempre detto tutto, non hai segreti con me.

È vero. Perciò sai pure che ho fatto un mezzo terremoto per Brigitte.

– Ma adesso come stanno le cose?

– È andata. Stamattina dovrebbe sottoporsi alla seduta.

– Così saprai come sta e come curarla, se serve.

– Serve, serve, altro che... se serve!

– E tu sei sicuro che il tuo dolorino non sia niente...

– E tu pensi che abbia speso alcune migliaia di dollari per due maschere di leoni di plastica solo per farti ridere?

David non aveva voglia di scherzare. Sapeva tutto. Quello stratagemma era servito per portare lei da Mario Williams che, a Perth, era un luminare della scienza psicanalitica. Aveva risolto molti casi dubbiosi, era arcinoto. Ed era stato lui stesso a consigliare come comportarsi. Perché non bisogna toccare la suscettività delle persone. Ci vuole delicatezza e Adem si era prestato con molta intelligenza.

– Lo sai bene che lei si sta fissando con i figli che non abbiamo e che non possiamo avere. Anche se, secondo me, ci sono delle speranze.

– Si vive anche senza figli. Noi stessi siamo figli. Tu mi hai sempre detto che vorresti cercare tuo padre.

– Sì, questa è una ricerca che dovrei studiare a fondo. Non posso andare in giro senza appigli sui quali attaccarmi.

– Conosci il paese di tua madre.

– Questo è vero. Ma pensi che possa bastare? Non credi che nessuno mi direbbe una mezza parola in Calabria?

– Non lo so. Può darsi, ma se non ci provi nemmeno!

– Sì, sì. Sto aspettando...

– E che cosa?

– Non so di preciso. Certe volte ho dei presentimenti. Io li collego a questo mal di testa persistente, non forte ma come se fosse il pensiero di altri che tentano di penetrare nella mia mente. Strano...

– Sono tue impressioni.

Si erano spostati più a valle, passeggiavano attorno al vitigno di Adam, osservavano la campagna non ancora di colori spenti. Pareva che stesse per coricarsi e addormentarsi per la prossima stagione, quella chie chiamano cattiva e che, invece, serve a ridare forza e vita alle piante. Si erano seduti su quella stessa pietra dove di solito si fermava Adam.

– Qui hai dato il cazzotto?

– Te la ridi?

– No, che dici? Mi dispiace che ti sei scorticato le nocche – anche se un sorriso affiorava fra le labbra.

– E tu? Che mi hai fatto assaggiare ananas e cipolle?

– Perché? Che hai da obiettare?

– Le stesse cose che tu pensi sul mio pugno a una pietra... megalitica...

Si rise in due, il modo migliore di far scemare la tensione.


Raffaele Castelli

 

Fonte: R. Castelli, Doppia identità. Un caso di uguale DNA, Lulu, Raleigh 2017.

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