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La legione ungherese garibaldina


Legione ungherese
Alcuni componenti stranieri dei Mille di Garibaldi.

La legione ungherese garibaldina è stato un corpo militare, attivo fino al 1867, creato da Giuseppe Garibaldi col decreto n. 100 del 16 luglio 1860 come parte del suo esercito meridionale e composto da esuli e disertori magiari che avevano combattuto al fianco delle altre formazioni garibaldine durante il Risorgimento. Il più celebre soldato di questa legione era István Türr (1825-1908), colui che, durante la Seconda guerra d'indipendenza italiana (1859), aveva promosso la diserzione presso i suoi commilitoni asburgici, arruolandoli nella brigata dei Cacciatori delle Alpi. Costituita a Palermo, la legione ungherese contava inizialmente 50 volontari che in breve tempo superarono i 500 uomini, comandati dal colonnello brigadiere Nándor Éber (1825-1885). Passata sotto il comando di Türr - divenuto governatore di Napoli su preciso incarico di Garibaldi - la legione fu utilizzata per reprimere i focolai di rivolta in provincia di Avellino, fino allo svolgimento del cosiddetto plebiscito delle province siciliane del 21 ottobre 1860. Inquadrata nell'esercito sabaudo dopo l'Unità d'Italia col nome di Legione Ausiliaria Ungherese, questa truppa venne infine impiegata per combattere il brigantaggio postunitario in Terra di Lavoro, in particolare tra l'aprile 1861 e l'agosto 1862 e, successivamente, dall'ottobre 1865 al giugno 1866.

La storia ufficiale del Risorgimento ha effettivamente trascurato un aspetto importante dell'operazione garibaldina: le numerose presenze straniere al servizio della spedizione dei Mille. Inglesi erano infatti il colonnello John William Dunne e John Whitehead Peard. Tanti gli ufficiali ungheresi: oltre ai già citati Türr ed Eber, vi erano Ferdinand Eberhardt, Lajos Tüköry e il Magyarody. Tra i polacchi figuravano invece due ufficiali di spicco: Alexander Izenschmid e il Lauge. Fra i turchi v'era l'avventuriero Kadir Bey e non mancò l'apporto di battaglioni zuavi e indiani, messi a disposizione di Garibaldi da Sua Maestà britannica. La legione ungherese, al massimo del suo splendore, passò dai 3.200 uomini (e 200 ussari) agli oltre 20.000.

Tra i tedeschi di varia provenienza assoldati nelle fila legionarie si deve infine ricordare Adolfo Wolff, già al servizio dei Borbone, al quale fu affidato il comando dei disertori tedeschi e svizzeri. Oltre a lui, misterioso colonnello e patriota italiano, c'era un secondo Wolff (forse parente del primo), di nome Giovanni, che nel maggio 1864 sedeva nel consiglio d'amministrazione del Mazzini & Garibaldi Club di Londra e che, appena cinque mesi dopo, venne arrestato a Capracotta in contrada Macchia. Ma che storia è mai questa, vi starete chiedendo?

È risaputo che il fenomeno del brigantaggio/reazione era ampiamente attivo a Capracotta negli anni a cavallo dell'Unità. A tal proposito Alfonso Battista (1935-2018) ci ha lasciato una preziosa autointervista immaginaria che ci aiuta a comprendere il clima politico venutosi a creare a Capracotta tra i reazionari filoborbonici e i liberali risorgimentali. Nel nostro paese, infatti, da un lato stava la ferocia del mio avo Pasquale Di Ianni, capo indiscusso della reazione borbonica, dall'altro la vitalità del clero: tra i due poli divampò un tale odio che provocò omicidi e scontri violenti, ma anche vere e proprie comiche, come quando «il sindaco liberale Amatonicola Conti ed il padre Gerardo, sorprendentemente, trovano ospitale rifugio durante i moti reazionari in casa del leader borbonico Michelangelo Campanelli, genitore dello storiografo Luigi Campanelli; il comandante della Guardia nazionale Gaetano Conti ed il fratello Gianlorenzo, entrambi fervidi liberali, si sottraggono alla folla minacciosa trovando immediato riparo in casa del vescovo borbonico Giandomenico Falconi; il farmacista liberale Ettore Conti, fratello del sindaco Amatonicola, ferito con un colpo di roncola da un compaesano borbonico, corre a farsi medicare in casa Campanelli». Insomma: a Capracotta ci si faceva la guerra ma in fondo si era tutti della stessa razza!

Il folclore insito nei moti capracottesi nulla toglie al fatto che la nostra campagna pullulasse di agguerriti gruppi criminali, la banda Cozzitto, la banda Ferraro e la banda Schiavone su tutti. Una di queste masnade «ammazzò 800 pecore al signor Geremia Conti per non aver prontamente pagata la taglia impostagli»; un'altra compagnia «di circa 80 reazionarii, cercando passare per la via de' monti dalle Puglie agli Abruzzi, s'incontra presso Capracotta con una trentina di guardie nazionali di questo paese, che perdendo nel conflitto quasi una metà di uomini, son costrette a ripiegare». Abigeato, rapine, estorsioni e soprusi erano il pane quotidiano di chi viveva nelle masserie di Guastra e Macchia nel XIX secolo. Proprio qui, nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1864, «una comitiva di briganti si trovava a saccheggiare una masseria, in quel di Capracotta, quando sopraggiunse la forza, la quale l'attaccò vivamente, facendo prigione Giovanni Wolff, che poi svelò i suoi complici»; il Wolff, che aveva disertato la Legione Ausiliaria Ungherese, «fu condotto ad Isernia ed ivi giustiziato».

Se c'è una colpa che possiamo addossare a Garibaldi è infatti questa: pur di raggiungere l'obiettivo unitario, egli immise nei ranghi militari moltissime persone di dubbia etica e discutibile onestà. Avendo dapprima disertato l'esercito austro-ungarico per combattere in Italia a fianco dei rivoluzionari e avendo poi abbandonato i garibaldini per darsi alla vita fuorilegge, quello di Giovanni Wolff rappresenta un caso emblematico dello scarso attaccamento di alcuni garibaldini alla causa italiana e della faciloneria con la quale furono reclutati. L'Unità d'Italia si fonda perciò anche su questo, sul crimine mascherato da patriottismo.

Tuttavia, viva l'Italia repubblicana, una e indivisibile! Ora e per sempre.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • AA.VV., Identità molisana e Unità d'Italia: frammenti di storia, Gemmagraf 2007, Roma 2012;

  • A. Battista, Capracotta e l'Unità d'Italia. Autointervista immaginaria, One Group, L'Aquila 2011;

  • A. Carteny, La legione ungherese contro il brigantaggio: i documenti dell'Ufficio storico dello Stato maggiore esercito, vol. I, Nuova Cultura, Roma 2012;

  • A. Comandini e A. Monti, L'Italia nei cento anni del secolo XIX, Vallardi, Milano 1900;

  • O. Conti, I moti del 1860 a Capracotta, Pierro, Napoli 1911;

  • B. Costantini, Azione e reazione. Notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello chietino, dal 1848 al 1870, Di Sciullo, Chieti 1902;

  • F. Durelli, Colpo d'occhio su le condizioni del Reame delle Due Sicilie nel corso dell'anno 1862, Napoli 1863;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • C. V. Rupnick, Estinzione del brigantaggio, in «Il Diavoletto», XVIII:175, Trieste, 30 luglio 1865;

  • A. Vigevano, La legione ungherese in Italia: 1859-1867, Lib. dello Stato, Roma 1924.

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