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Lite tra cugini col morto


Scuola dell'Italia centrale, "Caino e Abele", XVI sec., olio su tavola.

La storia criminale che mi accingo a raccontarvi, seppur vecchia oltre un secolo, mi spinge a non rivelare i cognomi delle persone coinvolte, per non urtare la sensibilità di nipoti e pronipoti e per assicurare uno straccio di diritto all'oblio a imputati, colpevoli e condannati.

Siamo a Capracotta ed è la sera del 16 settembre 1902. Marco e Sebastiano sono cugini carnali ma tra di loro i rancori personali sovrastano ogni altro sentimento. A causa di questi odî, i due giovani cominciano una furiosa lite «in una bettola di Capracotta» ma, per fortuna, accorrono diverse persone per sedare la contesa. Usciti dal locale, i cugini si affrontano nuovamente finché uno dei due stramazza al suolo con la carotide recisa: ad avere la peggio è Sebastiano, che «dopo qualche ora cessava di vivere».

Marco va immediatamente a costituirsi presso la Pretura di Capracotta e, poco dopo, un certo Giovanni fa la medesima cosa presso la caserma dei carabinieri al Rione Grilli. A quanto pare, infatti, questo Giovanni aveva «trattenuto per le spalle» Sebastiano, mentre Marco gli vibrava una coltellata alla gola.

In caso di previsioni di reato così gravi - che superano cioè i tre anni di reclusione - la Pretura mandamentale di Capracotta non può far altro che raccogliere le deposizioni e spedire gli atti al Tribunale circondariale, ovvero la Corte d'Assise d'Isernia, dove avverrà effettivamente il dibattimento e il regolare processo.

Dopo soli 14 mesi, tra il 18 e il 20 novembre 1903, la Corte si riunisce per acclarare i fatti e giungere a un verdetto di primo grado. Marco, accusato di omicidio volontario, è difeso dall'avv. Vittorino Cannavina (1861-1926), stimato giurista campobassano che dal 1906 al 1913 siederà pure in Parlamento. Giovanni, accusato di concorso in omicidio volontario, è difeso dagli avv. Giovanni Maria Cancellario e Alessandro Marracino (1867-1941), anch'egli futuro deputato del Regno d'Italia. Come suol dirsi, la difesa è di ferro, affidata a uomini di legge ben visti dalla Corte e dalla popolazione, tre campioni del foro molisano.

Per parte civile si costituisce Vincenza, vedova di Sebastiano, assistita dall'avv. Nereo Pettine, attivissimo democratico nell'Isernia di inizio '900, un uomo certamente meno dotato dei suoi illustri colleghi.

La strategia difensiva di Marco è ben precisa: non viene negato l'omicidio ma si afferma che questo è avvenuto per legittima difesa, in quanto l'accusato «vide che suo cugino dopo di avere ferito sua moglie si era rivolto contro di lui in atto minaccioso». La strategia difensiva di Giovanni è invece più ambigua perché da un lato sostiene che «egli non era neppure presente quando fu consumanto l'omicidio, perché avendo visto che dalle parole si veniva a vie di fatto, credette prudente allontanarsi», dall'altro il suo avv. Cancellario dichiara che, «ovemai venisse affermata la responsabilità [...], devesi parlare di concorso e non mai di cooperazione immediata nell'omicidio». Marco, dunque, ammette di aver ucciso il cugino Sebastiano perché questi aveva minacciato sua moglie; Giovanni, invece, in un primo momento sostiene di non esser stato nemmeno presente al momento della coltellata e poi cerca di parare i colpi dei testimoni sperando in un verdetto più mite. La domanda che sorge spontanea è la seguente: se egli non era presente, come mai decise di costituirsi ai carabinieri di Capracotta?

Nonostante molti testimoni sostengano che il fu Sebastiano «sparlava continuamente della moglie di Marco», il verdetto arriva in poche ore ed è «completamente affermativo per entrambi gli imputati a cui sono concesse le sole attenuanti», probabilmente per la solerzia con la quale si sono costituiti alla giustizia. Fatto sta che Marco è condannato a 15 anni di reclusione, Giovanni a 10, ed entrambi sono obbligati a pagare le spese processuali per un totale di £ 3.000, circa 12.500 euro attuali, una cifra considerevole che si aggiunge a quella sborsata per ingaggiare i tre insigni avvocati difensori.

Oggi, per giungere a una sentenza di primo grado in un processo penale, occorrono circa due anni, tanto che la Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha già comminato all'Italia ben 276 condanne, proprio a causa della lentezza dei processi e del conseguente danno che provoca ai cittadini.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • D. Amicone, Echi molisani, in «Eco del Sannio», IX:17, Agnone, 25 settembre 1902;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • Roland, Corte di Assise, in «Pensiero Novo», I:5, Isernia, 22 novembre 1903.

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