La sua famiglia era così composta: la moglie Pina de Paola (1920-2009), i figli Michele (1946) ed Enzo (1949) nati a Lupara, Massimo (1953) e Marcello (1956) nati a Capracotta e Maria Teresa (1962) nata a Termoli.
Nei primi anni '50 Capracotta, dopo l'abbandono delle postazioni da parte dei tedeschi nel '43, si presentava in gran parte distrutta e solo parzialmente ricostruita. Il contesto era di una povertà diffusa che servì a plasmare il carattere dei capracottesi permeato da uno spirito di solidarietà importante. In questo quadro papà continuò la sua opera di giornalista riferendo di questa situazione e citando le difficoltà di un paese (all'epoca Capracotta contava circa 4.000 abitanti) che doveva affrontare inverni lunghi e nevosi, mitigati dall'arrivo del Clipper, il grande spazzaneve americano regalato al paese dai suoi emigranti d'America. Narrava, sulle pagine molisane di alcuni quotidiani, di episodi eroici quando il paese veniva a trovarsi isolato ed in difficoltà per le abbondanti nevicate; noi bambini dell'epoca vivevamo questa atmosfera quasi eroica tanto e vero che il conduttore dello spazzaneve, Leo Conti, era considerato un vero supereroe. Attraverso la sua opera giornalistica, papà indicava le possibili risorse per avviare uno sviluppo economico del paese individuandole principalmente nel settore turistico; allora la ricettività alberghiera si limitava al solo Hotel Vittoria gestito dalla famiglia Ianiro; si tentò anche la realizzazione di un altro albergo (penso si chiamasse Stella Alpina) che non ebbe però seguito. Il turismo, quindi, si limitava al rientro nei mesi estivi di "villeggianti" capracottesi residenti in varie città italiane.
Il legame della nostra famiglia con Capracotta era profondo; la cerchia di amici che frequentavamo annoverava il maresciallo dei Carabinieri Lino Nafra, il direttore didattico Romeo Paglione (fratello dell'artista e pittore Leo tragicamente scomparso nel 2004), il maresciallo in pensione De Mura, il barone d'Alena; questo gruppetto si incontrava allo Sci Club o al bar da Ciro dove si scatenavano furibonde partite a tressette.
La sua attività di medico, poi, lo portava soprattutto d'inverno, a compiere delle vere e proprie avventure; ricordo che nelle fredde notti invernali doveva a volte recarsi per urgenze sanitarie fuori paese; con gli sci si recava quindi alla caserma dei Carabinieri (vicino casa) per farsi accompagnare dai militi dotati di torce e armati di moschetti per proteggersi da probabili incontri con i lupi; a volte mancava la luce e, per dargli un segnale per il suo ritorno a casa, mettevamo delle candele dietro ai vetri delle finestre per dargli un punto di riferimento.
La vita di noi ragazzi a Capracotta era serena, eravamo felici, grandi giochi, grandi sciate al "prato di Conti" (più o meno a valle dell'Hotel Capracotta), grandi divertimenti, grandi comitive...
Il suo impegno sociale papà lo svolgeva non solo come medico ma anche come giornalista e scrittore. Ha pubblicato articoli su riviste scientifiche nazionali di medicina sociale dove segnalava la difficile vita di alcune categorie di lavoratori, come per esempio i carbonai, particolarmente disagiata ed al limite della condizione umana.
Poi, purtroppo, ci siamo dovuti separare da Capracotta per il problema della scolarità di noi ragazzi e ci trasferimmo a Termoli.
Capracotta però ci è rimasta nel cuore e nelle nostre visite quasi annuali, fino a qualche anno fa incontravamo ancora persone che ricordavano papà con grande piacere se non con grande affetto.
Michele Antonarelli
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