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Un molisano novantenne rievoca la lotta fra Baratieri e Menelik


Nicola D'Onofrio

A Pescara, al numero 15 di via Savonarola, abita un arzillo vecchietto di circa 90 anni, che sorprende tutti, e non poco, per la sua lucidità di mente, ricordando fatti ed episodi della sua giovinezza, con quella ricchezza e dovizia di particolari, che molto difficilmente possiamo riscontrare in altre persone della sua stessa età. Ma Nicola D'Onofrio (questo è il nome del nostro personaggio) ricorda con maggiore entusiasmo la sua vita militare ed il passato di combattente in Africa, dove si distinse in brillanti imprese militari. Nicola D'Onofrio, molisano di Capracotta e residente a Pescara da pochi anni, è uno dei rari reduci della cruenta guerra d'Africa: i ricordi di essa sono sempre presenti nei suoi discorsi!

Cercheremo di riferire ogni cosa, nel modo che lo stesso interessato, dai noi intervistato, ci ha narrato.

«Sono nato a Capracotta, in provincia di Campobasso – ci dice il D'Onofrio – il 1° luglio 1871. Appena grande, intrapresi il mestiere di carbonaio, professione che, da quelle parti, è esercitata moltissimo. Raggiunta la maggiore età, venni arruolato nel 1892 e destinato al 60° Regg. Fanteria di Savona, dove rimasi per tre mesi, facendo la spola tra le fortezze di Savona, di Aldaro e di Forte Arturo. Di qui, poi, venni trasferito ad Oneglia, dove rimasi 6 mesi, facendo la guardia delle locali carceri giudiziarie, insieme ad altri 5 soldati. Il mio reparto era costituito da 25 elementi, tutti affiatati e compagnoni!». E nel dire queste parole, il D'Onofrio, ormai carico d'anni e di esperienza, nostalgicamente rievoca un periodo di spensierata giovinezza!

«Durante questo soggiorno venne un ordine del generale Disonas – prosegue l'interlocutore – secondo il quale dovevamo recarci a tagliare legna in località Molini di Triora, ai confini con la Francia, al fine di disboscare la zona ed aprire la strada ad una vicina fortezza. Io, esercitando da borghese il mestiere di carbonaio, venni scelto per il lavoro insieme ad altri. Non mi posso lagnare davvero di questo periodo, perché, per quello che facevamo, avevamo doppie razioni di cibi più appetitosi e pochi soldi giornalieri!».

E dettoci questo, il D'Onofrio, circondato da una grande schiera di famigliari, che ascoltano devotamente in silenzio le sue interessanti rievocazioni, che conoscono ormai a memoria, giacché il vecchio non si stanca mai di tirarle fuori ad ogni occasioe, si ferma, quasi avesse terminato una prima parte della narrazione, quella da «permanente a Savona», come è solito dire.

Lo guardiamo con una certa insistenza, significando con il gesto di voler conoscere quelle rievocazioni notoriamente più interessanti, quelle della guerra d'Africa. E continua: «Venni richiamato ancora nel 1894, in seguito alla rivoluzione socialista scoppiata in quell'anno a Foggia».

«Quale episodio "interessante" ricorda di questo periodo?» gli chiediamo.

«Ricordo – ci risponde il D'Onofrio con un sorrisetto tutto particolare, carico di ironia e nello stesso tempo di commiserazione – che in questa occasione un tenente si ebbe una bella sassata nel mezzo della fronte! Sangue a non finire e conseguenti rappresaglie sulla folla, che sembrava davvero inferocita, furono i corollari della sassata!».

Il suo narrare, giunti a questo punto, si fa più affrettato ed incomprensibile, conseguenza del palese entusiasmo che il vecchio mette nella narrazione. Non comprendiamo chiaramente quanto egli ci dice, sia perché, come detto, le sue parole acquistano un ritmo "a ripetizione", e sia perché il D'Onofrio mescola, nel suo parlare, il dialetto abruzzese e molisano: siamo costretti a ricorrere all'aiuto di un figlio e di un nipote, che cortesemente ci fanno da interpreti. Cerchiamo di sintetizzare quanto il vecchio dice ancora. Nel 1895 venne richiamato a Fano, in quel di Pesaro, dove rimase per tre mesi ed in questo anno arrivò l'ordine di recarsi in Eritrea. Il 15 gennaio del 1895 venne trasferito a Napoli, in attesa di partire per l'Africa. Il 20 gennaio si imbarcò: duemila persone stavano per essere portate in Africa, dagli unici due piroscafi a disposizione!

«Il cado che soffrivamo – ci dice – durante la traversata era davvero insopportabile: fino a 45 gradi!».

Il 22 dello stesso gennaio arrivarono a Porto Said, attraversando il Mar Rosso, guidati dal generale Baldissera. Nella stessa giornata si partì per Massaua: le navi, con i riflettori, illuminavano il Canale di Suez. Alcuni giorni dopo si arrivò a Massaua, dove si rimase fermi 5 giorni e poi gli uomini furono caricati su un treno, a bordo del quale raggiunsero il deserto del Sagata, restandovi accampati un mese, in attesa di ordini.

«Negli ultimi giorni di febbraio – la narrazione riprende dalla viva voce del D'Onofrio – fummo portati in un paese chiamato Ghinda, donde, attraverso la così detta Valle delle Scimmie, arrivammo sull'altipiano dell'Asmara, a quota duemila metri. Lo spettacolo che vi si poteva ammirare aveva qualcosa di irreale. Dappertutto, però, campeggiavano rovine e resti di avvenuti scontri. Fu in questo luogo che, il 2 marzo, si verificò lo scontro storico tra il generale Barattieri e Menelik: il primo con soli 40 mila uomini e l'altro con 300 mila unità! Cento italiani, catturati, vennero barbaramente evirati, mentre i neri da noi fatti prigionieri ebbero tutti indistintamente tagliata la meno destra od il piede sinistro.

In seguito a questi eventi il generale Baldissera ritenne opportuno prelevare tutto il reggimento e condurlo di nuovo a Ghinda. Da Ghinda, poi, arrivammo a Sitafé. Il primo aprile lasciammo detta località e la sera stessa avvenne un tremendo scontro con le pattuglie di Ras Alula. Il nostro plotone, composto da duemila uomini, ebbe un morto ed un ferito soltanto ed i nostri uomini, con il loro eroico comportamento, misero in fuga le pattuglie del Ras!

La mattina del 2 maggio, dopo diversi giorni di sosta, ci mettemmo in marcia per il ritorno. Dovevamo arrivare alla fortezza di Adirat, dove le nostre pattuglie erano state assediate dagli uomini di Ras Mangascià, Ras Alula e Ras Abath. Sopraggiunti noi di riforzo, mettemmo in fuga gli uomini africani alle quattro del mattino, dopo diverse ore di combattimento. I nostri, durante tutto il periodo dell'assedio, si erano nutriti soltanto con una tazza di farina ed un poco di formaggio. Il 3 maggio del 1896, alle ore 15 (sono date che, anche a questa età, non si possono dimenticare!) – ci dice con entusiasmo il D'Onofrio – la bandiera tricolore sventolava sul Forte Adirat liberato!».

«Quale spettacolo le si presentò agli occhi nel Forte Adirat?».

«Molti erano i cadaveri sparsi da ogni parte: il tifo aveva voluto le sue vittime! La mancanza di acqua era davvero preoccupante: quella che c'era, era stata intorbidita e resa venefica dai bossoli di fucile. Dal 3 maggio al 24 giugno tutto fu tranquillo. Il 24 intraprendemmo il viaggio di ritorno per l'Italia e, dopo quattro giorni e quattro notti, giungemmo a Tel Aviv, dove trovammo una epidemia di colera. Quattro nostri compagni morirono sulla nave e furono sepolti a Porto Said. Questo fu, in effetti, l'unico "imprevisto" che turbò il viaggio di ritorno. Dopo due giorni, da Tel Aviv arrivammo a Napoli, dove una folla entusiasta ci attendenva, tributandoci manifestazioni di affetto e di simpatia. Ricordo che molte madri e spose piangevano di gioia: molte altre, per il fatto di non aver visto più tornare i loro cari! Nel giugno del 1896 mi congedai, ritornando nella natia Capracotta ad esercitare di nuovo il mestiere di carbonaio. I ricordi di guerra, però, sono sempre presenti e vivi in me. Da un paio d'anni mi sono trasferito con i miei figli a Pescara, dove vivo tranquillamente, senza preoccupazioni di sorta. Il mio passato di combattente e la vita di guerra mi tengono compagnia quando sono solo e non so cosa fare e, se mi sento triste, rievoco il passato: solo così, tutto torna a sorridermi!».

Nicola D'Onofrio, nel dirci queste parole, abbozza un sorriso largo ed espressivo, che ci colpisce. Lo lasciamo circondato da tutti i suoi famigliari, ai quali il vecchio torna a raccontare, per l'ennesima volta, i suoi ricordi; i parenti lo ascoltano con attenzione: apprendono, così, sempre qualcosa di nuovo e di interessante sulla sua movimentata vita di combattente!


Lucio Angelini

 

Fonte: L. Angelini, Un molisano novantenne che vive a Pescara rievoca la lotta fra Barattieri e Menelik, in «Orizzonti d'Abruzzo», III:5, Pescara, maggio 1960.

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