Muta soffre la terra
l'offesa dell'animale ingrato;
assordante flagello meccanico
il cuore le squarcia,
impietoso portandole via
i figli nutriti con pazienza ed amore.
Invano implora gemito profondo
misericordia inascoltata
perché esso non giunge
nel fragore ch'uccide il lamento
ai timpani dell'avido corrotto
che sordo impazzisce al denaro.
Vacilla intanto il tronco nobile
e nella rabbia furibondo
scuote verdi le sue chiome
in una cascata di soffici foglie...
Lenta la vita spira dai germogli
e le radici incredule a levarsi
dal loro morbido letto di benessere
si aggrappano ad estrema speranza
strappando nell'abbraccio di morte
le carni della madre generosa.
Tenui umori sgocciolano candidi
gli ultimi raccapriccianti, sussulti
in freddo commosso sudario
che cosparge di pianto
il dolore d’intorno nei campi:
di lutto si copre
la lacera coltre,
già ridente custode
di messi rigogliose
e privo d'anima
giace infine riverso
il tacito eroe appassito,
abbattuto da feroce progresso
che rozzo s'avventa
contro mansueta natura.
Ugo D'Onofrio
Fonte: U. D'Onofrio, Vorrei... dall'eco dei miei monti, San Giorgio, Campobasso 1979.