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I moti del 1860 a Capracotta (I)



Capracotta, l'alpestre borgo molisano, vanta tradizioni liberali fin da quando, col principio del secolo XIX, e propriamente dal 1799 al 1821, corse per tutta la penisola un fremito di libertà e di aspirazioni nuove, ed ogni angolo d'Italia, se non un martire, ebbe una voce di protesta e di patriottismo.

C'era come nell'aria il profumo che si sparge inconsciamente dappertutto ed esalta i cuori ed eccita le immaginazioni: c'era l'anelito alla libertà ed all'unità della Patria. Per quanto ancora incerta l'idea di questa unità ed incerti i mezzi per raggiungerla, l'ideale incominciato a germogliare, permaneva ed assumeva varie forme a seconda delle varie regioni della penisola, de' vari paesi e delle varie classi di cittadini.

Capracotta non era tanto nascosta da rimanere fuori dalla vita nuova, né d'altro lato tanto avanti da potersi mettere alla testa del movimento. Confinata agli estremi limiti della Provincia di Campobasso, essa aveva opportunità di comunicazione coi centri più diretti dei movimenti liberali e delle metropoli vicine, perché le sue antiche industrie armentizie più di frequente in quegli anni obbligavano i primi cittadini del paese a scendere nelle Puglie, far contatti a Napoli e altrove, e a conoscere quindi da vicino i nuovi orientamenti della politica, a porgere l'orecchio ai sussurri che passano nelle vie e ne' caffè, a leggere qualche giornale e a commentar qualche notizia.

E già prima del 1841, a Capracotta si era costituita una società segreta improntata e animata dal verbo massonico. Ne fu subito duce, o presto divenne, il reverendo D. Michelangelo Campanelli, avendo a compagni fondatori D. Gaetano e D. Amatonicola Conti, D. Francesco e D. Bernardo Falconi. E questo gruppo massonico dava segni evidenti di vita comunicando coll'esterno e non riposava. Sappiamo che da Catanzaro Benedetto Musolino mandava notizie a Palazzo San Gervasio e di qui esse venivano a noi per opera di due fervidi liberali, agronomi Domenico e Giuseppe Di Nucci, che avevano occasione di andare nelle Puglie, e da Capracotta, per mezzo del fidato corriere Domenico Carugno, a Dorrucci e Sardi di Sulmona.

Ma la polizia da parte sua si era accorta di questa animazione liberaleggiante e vegliava con molti occhi per acciuffare persone e strozzare ogni tentativo pericoloso, tanto che D. Gaetano Conti, venuto in sospetto più degli altri, fu oggetto di speciale vigilanza da parte degli sbirri borbonici, e una volta, avendo lasciato il paese, venne arrestato e carcerato a Palazzo San Gervasio e potè ottenere la libertà solamente grazie all'intercessione autorevole di monsignor Terenzio, vescovo di Trivento. Le riunioni segrete del gruppo massonico capracottese avevano luogo alla Casa della Madonna, dov'è oggi l'Asilo Infantile, e della bandiera chiamata della Giovine Italia, conservasi ancora in una sala del Circolo dell'Unione, un lembo lacero e scolorito, qual glorioso ricordo de' padri nostri liberali.

E degno di memoria è che di tutti i liberali capracottesi, il più insigne fosse il D. Fortunato Conti per l'efficacia della sua opera. Il Conti è seppellito a Poggioreale nel recinto degli uomini illustri. E cosa notevole, qui, come in parecchi paesi del Molise tutti, anche il clero mostrò alti sensi di patriottismo. Ed oltre il canonico D. Michelangelo Campanelli, già citato, l'arciprete prof. D. Filippo Falconi, in cui dottrina ed ingegno sono pari alla nobiltà dell'animo e alla santità della vita, predicò in chiesa e in piazza a quei giorni luttuosi contro l'esoso governo borbonico. Il Falconi era stato carcerato a Napoli per motivi politici.

L'arresto avvenne perché un certo Vago, di Frosolone, aveva consegnato una lettera di D. Filippo al conterraneo Zampini, ma caduto costui nelle mani della polizia, la lettera venne intercettata e fu così svelato il nobile desiderio del Falconi che chiedeva allo Zampini le opere del Gioberti.

Ed è proprio in casa di D. Filippo che avevano luogo nel 1859 le riunioni del Comitato liberale capracottese, di cui Egli era presidente, ed ivi principalmente, oltre che presso i signori D. Cesare e D. Liborio Conti e l'Arciprete Buonanotte, si rifugiò per molto tempo D. Ippolito Amicarelli, perseguitato politico, il primo deputato del collegio di Agnone, poi Preside-Rettore illustre e rimpianto del Liceo-Convitto Vittorio Emanuele di Napoli. Anche il sacerdote D. Policarpo Conti, nei giorni della reazione, fu arrestato e percosso e, in segno di dileggio, legato sopra un asino e, con una fiscella in testa, costretto ad attraversare il paese tra i sogghigni della feroce plebaglia, che a perdifiato gridatagli: «Manda ora quattrini a Garibaldi!», volendo con queste parole alludere ai 400 ducati che il liberale sacerdote aveva di suo mandato al Duce liberatore. Gli artigiani in massima parte, come quelli che minori istinti di servitù avevano accolti nell'animo e più vicini erano ai principali del paese, si mantennero fermi nell'atmosfera dell'entusiasmo dei pochi, mostrandosi inclini a secondarli e a prestar magari l'opera loro in caso di azione.

Restò così solo la plebe nella morta gora, impantanata nei vecchi pregiudizi, inconscia dei tempi nuovi, avida solo del guadagno certo e furibonda al sangue ed al saccheggio. Questa fu l'unica causa del suo spirito reazionario: non già l'odio che avesse verso i civili del paese, perché è cosa provata e incontestabilmente certa che i popolani ebbero sempre favori e prestazioni dai signori e anche i rapporti scambievoli tra loro erano improntati a giustizia e cordialità. Gli istinti retrogradi la predisponevano, ma ciò che la decise ad insorgere furono le sobillazioni d'un feroce reazionario, Eustachio Monaco.

Da Isernia, dove viveva esercitando il mestiere di bastaio, venne costui a Capracotta ai 20 Settembre del fatale anno, spinto oltre che da sentimenti retrivi, dal denaro de' borbonici d'Isernia, a capo de' quali erano monsignor Saladino e il De Lellis. La sera di detto giorno, il Monaco, adunati in sua casa Pasquale di Janni e Cesare Carnevale, uomini animosi e però d'un grande ascendente sul popolo, e corrottili col danaro che seco portava, indusse entrambi a promuovere un atto reazionario, arrestando e massacrando i liberali del paese.

La Guardia Nazionale cittadina, composta di 180 uomini al comando del capitano D. Gaetano Conti e del 1° tenente avv. Giulio Conti, mio padre, intuendo qualcosa di grave, era rimasta accasermata nel caffè di Giovanni Antenucci, pronta a reprimere ogni moto, dal 1° Ottobre sino al mattino successivo, quando per ordini superiori dovette recarsi quasi tutta ad Isernia, dove terribile era scoppiata la reazione.

Fu allora che il popolo si decise ad insorgere. Vero è che già da' primi di Luglio, i reazionari avevano stabilito, come più tardi si venne a sapere, di provocare i civili, ammazzando una loro giovinetta alla processione del Carmine, che era in quei tempi la principale festa del paese. La sera de' 2 Ottobre, Domenico Potena, guardia nazionale, trovandosi nel Corpo di Guardia, aveva detto che gli animi erano in gran fermento, che invano Egli si era adoperato per indurre i suoi fratelli a deporre l'idea della lotta civile. Difatti, il giorno 3, verso le nove antimeridiane, una tura di popolo del quartiere di San Giovanni, mosse tumultuando al grido di «Viva Francisco!» verso la piazza, dove c'erano appena una decina di guardie.

Il comandante D. Gaetano Conti, visto il grande pericolo che correva il ceto signorile e i disordini che minacciavano il paese, avrebbe voluto ordinare di far fuoco, ma il dottor Berardino Conti, mio avo, per evitare spargimento di sangue, intervenne e riuscì a rattenere quel comando. Fu mal, perché una scarica avrebbe riavvilita la folla e indotta a più savio consiglio. Invece, credendo che quella prudenza non fosse stato altro che paura, dopo di aver fatto per due volte il giro del paese, quasi a far mostra della sua prepotenza, diede essa sfogo alle sue torbide passioni.


Oreste Conti


 

Fonte: O. Conti, I moti del 1860 a Capracotta, Pierro, Napoli 1911.

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