Gennaio è un mese freddo dappertutto, ma per Capracotta è addirittura spaventoso. Bisogna aver vissuto un pochino lassù di quei giorni per poterne avere un'idea! Fiocca a tutte l'ore e i giorni si succedono uniformi, monotoni, non differenti l'uno dall'altro che per il segno che ne dà il lunario.
La neve, alta parecchi metri, impedisce la comunicazione tra casa e casa e, se non fosse per il tenue filo telegrafico, si perderebbe ogni comunicazione coi viventi. A volte, nel cuore del verno, le provviste sono esaurite ed allora cominciano le dolenti note. È ben per questo che da noi si aspetta la fine di gennaio con indicibile ansia e che, alla sera dell'ultimo giorno, una schiera di giovani, seguita da monelli, percorre il borgo, agitando de' grossi campanacci e gridando a squarciagola:
– Vàttene, iennàre, iennaróne, sfascia cuatenàre e cascióne.
Oreste Conti
Fonte: O. Conti, Letteratura popolare capracottese, Pierro, Napoli 1911.
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