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Il vescovo Giandomenico Falconi



(Capracotta, 4 agosto 1810 - 25 dicembre 1862)


Esiste una fitta bibliografia su mons. Giandomenico Falconi. La quantità di contributi su questo vescovo capracottese non è legata tanto alla sua missione pastorale, che pure fu incisiva, quanto al fatto di aver rappresentato - ideologicamente e cronologicamente - lo spartiacque tra il Regno delle Due Sicilie e il Regno d'Italia, tra l'antico feudalesimo borbonico e le nuove spinte unitarie. Diremo subito che Falconi fu sempre fedele ai Borbone e, in nome di quella fedeltà, fu costretto a lasciare la sua cattedra in Puglia per ritirarsi nella natia Capracotta.

Figlio di un'antica e ricca famiglia capracottese che da generazioni serviva lo Stato, Giandomenico sentì presto la vocazione al sacerdozio. Segretario dell'arcivescovo di Bari Michele Basilio Clary (1778-1858), fu nominato prima arciprete e poi prelato di Acquaviva delle Fonti ed Altamura, nel cui seminario passeranno tanti personaggi illustri, da Baldassarre Labanca a Nicola Falconi.

Nel 1853, in occasione dell'inaugurazione di un busto in marmo del re Ferdinando II, Giandomenico Falconi commissionò al maestro Nicola de Giosa (1819-1885) una cantata da eseguirsi durante la cerimonia e, «in una notificazione del 1854, consolò la propria comunità pastorale all'indomani dell'epidemia di colera del 1837 e indisse tre mesi di Giubileo». Nel 1858 il Falconi venne finalmente nominato vescovo titolare di Eumenia.

Nel 1859 Ferdinando II, recatosi in Puglia per accogliere Maria Sofia di Baviera, sposa dell'erede al trono, ricevette ad Acquaviva un'accoglienza trionfale e persino lo storico Raffaele de Cesare, piuttosto critico nei confronti del Borbone, scrive che i preparativi erano stati impeccabili perché «Monsignor Falconi, direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini». Il re pernottò ad Acquaviva, nel palazzo di Giandomenico Falconi, proprio per la fiducia che riponeva nel prelato.

Alla morte di Ferdinando, il vescovo capracottese scrisse un elogio funebre piuttosto pomposo, il cui incipit la dice lunga sul grado di lealtà verso il sovrano: «La vita di Ferdinando II è uno specchio di virtù. Da qualunque lato si guardi essa offre sempre lezioni di religione e di morale». Eppure in quell'elogio vi è un dato statistico che ci ha sorpreso, relativo al sistema giudiziario e carcerario, per cui tra il 1849 ed il 1856 il re aveva graziato 2.686 imputati e sospeso 12.723 processi per reati politici. «Dal 1856 al 1858 – scrisse mons. Falconi – le carceri rimanevano quasi interamente vuote».

Subito dopo l'invasione piemontese il Falconi subì, assieme a 54 colleghi duosiciliani (su un totale di 65), l'ostracismo del nuovo regime. Lo storico Giambattista Masciotta sostiene che «la rivoluzione del 1860 afflisse profondamente mons. Falconi, anche perché i liberali non mancarono di sollecitarne dal governo il trasferimento, addebitandogli soprusi e maneggi in parte veri, in parte immaginarii». Fatto sta che il Falconi, dopo la capitolazione borbonica, si autoesiliò a Capracotta.

Il 25 dicembre 1862, durante la Santa Messa di Natale, Giandomenico Falconi spirò, seduto sul suo scranno nella sagrestia della Chiesa Collegiata di Capracotta, mentre si preparava a concelebrare la funzione con l'arciprete Agostino Bonanotte, che poi gli dedicherà una raffinatissima elegia funebre in latino.

Luciano Rotolo, lo studioso che per ultimo si è occupato della vicenda umana e politica del Falconi, scrive che «negli anni '60 del XX secolo la sua tomba fu aperta [...] in vista di una ventilata apertura della causa di canonizzazione ed il suo corpo fu ritrovato non solo incorrotto, ma inposizione seduta». Verità o leggenda?

Francesco Mendozzi

 

Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

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